Christopher Paolini - Eldest (L'Eredit… Volume 2)

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Christopher Paolini
ELDEST - L'EREDITÀ
(2005)
Libro Secondo
Traduzione di Maria Concetta Scotto di Santillo
FABBRI
EDITORI
© 2005 Christopher Paolini per il testo © 2005 John Jude Palencar per l'illustrazione di copertina © 2002 Christopher
Paolini per l'illustrazione dei risguardi
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2005
da Alfred A. Knopf, un marchio di Random House Children's Books,
una divisione di Random House, Inc., New York,
e simultaneamente in Canada da Random House of Canada Limited, Toronto.
© RCS Libri S.p.A., Milano I edizione Narrativa Fabbri Editori ottobre 2005
ISBN 88-41-1356-6
Ancora una volta, dedico questo libro alla mia famiglia.
E ai miei incredibili fan.
Siete stati voi a rendere possibile questa avventura. onr svedar sitja hvass!
Sinossi di Eragon Libro Primo dell'Eredità
Eragon, un ragazzo di quindici anni, resta di stucco quando vede comparire davanti a una pietra blu, liscia e rotonda,
durante una battuta di caccia sull'impervia catena montuosa conosciuta come Grande Dorsale. Eragon prende la pietra
e la porta con alla fattoria dove vive con suo zio Garrow e suo cugino Roran. Sono stati Garrow e la sua defunta
moglie, Marian, ad allevare Eragon fin da piccolo; non si è mai saputo nulla dell'identità di suo padre, mentre la madre,
Selena, sorella di Garrow, ha fatto perdere le sue tracce subito dopo aver dato alla luce Eragon.
In seguito, la pietra si frantuma e dal suo interno emerge un cucciolo di drago. È una femmina, e non appena Eragon la
tocca, sul palmo della sua mano compare un luccicante marchio d'argento: fra i due si crea un inscindibile legame
mentale che fa di Eragon uno dei leggendari Cavalieri dei Draghi.
L'ordine dei Cavalieri dei Draghi era stato fondato migliaia di anni prima al termine della grande guerra degli elfi contro i
draghi, allo scopo di impedire ulteriori ostilità fra le due razze. I Cavalieri erano diventati garanti di pace e di giustizia,
saggi maestri, guaritori, filosofi e potenti stregoni - era lo stesso vincolo con il drago che conferiva alla persona
straordinarie capacità magiche. Sotto la loro egida, il paese aveva vissuto un'epoca d'oro.
Quando anche gli umani erano approdati in Alagaèsia, alcuni di loro erano stati accolti nell'ordine. Dopo molti anni di
pace e prosperità, i mostruosi e bellicosi Urgali uccisero il drago di un giovane Cavaliere umano di nome Galbatorix.
Reso folle dallo strazio della perdita e dal rifiuto degli anziani di concedergli un altro drago, Galbatorix elaborò un piano
per distruggere i Cavalieri.
Rapì un altro drago - che chiamò Shruikan e rese proprio servitore usando oscuri sortilegi - e radunò intorno a un
gruppo di tredici traditori: i Rinnegati. Con l'aiuto dei suoi crudeli discepoli, Galbatorix uccise tutti i Cavalieri, compreso
il loro capo, Vrael, e si autoproclamò re di Alagaésia. Il suo successo tuttavia fu parziale, in quanto gli elfi e i nani
riuscirono a restare autonomi rifugiandosi nei loro nascondigli segreti, mentre alcuni umani fondarono una nazione
indipendente nel sud del paese, il Surda. Dopo ottant'anni di conflitti, scaturiti dalla caduta dei Cavalieri, si era creata
una situazione di stallo tra le diverse fazioni che durava ormai da una ventina di anni.
In questa fragile situazione politica Eragon capisce di essere in pericolo mortale: tutti sanno, infatti, che Galbatorix non
ha esitato a uccidere qualunque Cavaliere si fosse rifiutato di giurargli fedeltà. Decide così di non rivelare alla propria
famiglia l'esistenza della dragonessa, che battezza Saphira dopo aver ascoltato il cantastorie del villaggio, Brom, che
narrava di un drago con quel nome. Nel frattempo, Roran lascia la fattoria per accettare una proposta di lavoro che gli
consentirà di guadagnare abbastanza denaro da chiedere la mano di Katrina, la figlia del macellaio.
Saphira cresce, ed è già diventata ben più alta di Eragon, quando nel villaggio di Carvahall giungono due stranieri
dall'aria minacciosa e il corpo deforme. Sono i Ra'zac, e vanno in cerca della pietra blu, ossia l'uovo di Saphira.
Spaventata, la dragonessa rapisce Eragon e si rifugia in volo sulla Grande Dorsale. Eragon la persuade a tornare alla
fattoria, ma solo per scoprire che la sua casa è stata distrutta dai Ra'zac: fra le macerie, Eragon trova Garrow ridotto in
fin di vita per le torture subite.
Garrow muore nel giro di pochi giorni, ed Eragon giura solennemente di rintracciare i Ra'zac per ucciderli. Il giovane
viene avvicinato da Brom, che sa tutto di Saphira e gli chiede se può accompagnarlo nel suo viaggio, senza però
rivelare quale sia la ragione che lo spinge a partire con lui. Quando Eragon acconsente, Brom gli fa dono della spada
chiamata Zar'roc, un tempo appartenuta a un Cavaliere, ma si rifiuta di dirgli dove l'ha presa.
Durante i lunghi spostamenti, Eragon impara da Brom molte cose, fra cui l'arte della scherma e l'uso della magia.
Quando perdono le tracce dei Ra'zac, Brom suggerisce di recarsi a Teirm, una città dove vive un suo vecchio amico,
Jeod, che potrebbe aiutarli a localizzare il loro covo.
A Teirm, l'eccentrica erborista Angela predice a Eragon il futuro: potenti forze si scontreranno per controllare il suo
destino; avrà una storia d'amore con una donna di nobile stirpe; un giorno lascerà Alagaésia per non farvi mai più
ritorno; e sarà tradito da un membro della sua stessa famiglia. Anche Solembum, il gatto mannaro che si accompagna
all'erborista, pronuncia fatidiche parole di ammonimento. Infine, Eragon, Brom e Saphira partono alla volta di
Dras-Leona, dove sperano di trovare i Ra'zac.
Brom rivela di essere un agente dei Varden - un gruppo di ribelli che lottano per la destituzione di Galbatorix - e di
essersi nascosto nel villaggio di Eragon in attesa della comparsa di un nuovo Cavaliere dei Draghi. Brom spiega anche
che, vent'anni prima, lui e Jeod avevano rubato a Galbatorix l'uovo di Saphira. In quel frangente, Brom aveva ucciso
Morzan, il primo e l'ultimo dei Rinnegati. Restano soltanto due uova di drago, entrambe ancora nelle mani di Galbatorix.
Nei pressi di Dras-Leona, i Ra'zac tendono loro un agguato, e Brom resta mortalmente ferito nel tentativo di proteggere
Eragon. I Ra'zac vengono messi in fuga da un giovane misterioso di nome Murtagh, che sostiene di essere a sua volta
sulle tracce di quelle creature. Brom muore durante la notte. Prima di esalare l'ultimo respiro, confessa di essere stato a
suo tempo un Cavaliere, e che la sua dragonessa uccisa si chiamava Saphira. Eragon seppellisce Brom in una tomba di
pietra arenaria, che Saphira trasforma in un sepolcro di diamante.
Senza più la guida e la compagnia di Brom, Eragon e Saphira decidono di unirsi ai Varden. Per un colpo di sfortuna,
Eragon viene catturato nella città di Gil'ead, e portato al cospetto dello Spettro Durza, il braccio destro di Galbatorix.
Con l'aiuto di Murtagh, Eragon scappa dalla cella in cui era stato rinchiuso, e nella fuga porta con il corpo privo di
sensi dell'elfa Arya, anch'essa prigioniera.
Eragon e Murtagh diventano grandi amici.
L'elfa entra in contatto mentale con Eragon e gli racconta che da anni trasportava l'uovo di Saphira avanti e indietro fra
gli elfi e i Varden, nella speranza che l'uovo si schiudesse davanti a uno dei loro fanciulli. Tuttavia, durante il suo
ultimo viaggio, era caduta in un'imboscata di Durza e aveva fatto ricorso alla magia per inviare l'uovo da qualche altra
parte. Ed era così giunto a lui, Eragon. Arya è gravemente ferita e ha bisogno delle cure mediche dei Varden. Usando
immagini mentali, indica a Eragon la via per trovare i ribelli. La loro è un'epica fuga. Eragon e i suoi amici coprono
all'incirca quattrocento miglia in otto giorni, inseguiti da un contingente di Urgali che li chiudono in trappola ai piedi
dei torreggiatiti Monti Beor. Murtagh, che aveva già manifestato la sua riluttanza a raggiungere i Varden, si vede
costretto a confessare a Eragon di essere il figlio di Morzan.
A dire il vero, Murtagh deplora i misfatti del padre e racconta di essere sfuggito al patrocinio di Galbatorix per seguire il
proprio destino.
Mostra a Eragon una lunga cicatrice che gli deturpa la schiena, affermando che gli era stata inflitta dallo stesso
Morzan, che gli aveva scagliato contro la propria spada, Zar'roc. Eragon viene così a sapere che la sua spada un tempo
apparteneva al padre di Murtagh, che aveva tradito i Cavalieri per consegnarli nelle mani di Galbatorix, e che aveva
ucciso tanti dei suoi excompagni.
Proprio mentre stanno per essere sopraffatti dagli Urgali, Eragon e i suoi amici vengono salvati dai Varden, che
sembrano materializzarsi dalla roccia stessa. I ribelli si nascondono nel Farthen Dùr, una montagna cava alta dieci
miglia, e altrettanto larga, dove si trova la capitale dei nani, Tronjheim. Una volta all'interno, Eragon viene condotto al
cospetto di Ajihad, il capo dei Varden, mentre Murtagh viene imprigionato a causa dei suoi natali. Ajihad spiega molte
cose a Eragon, e gli rivela che Varden, elfi e nani hanno stretto un accordo secondo cui, alla comparsa di un nuovo
Cavaliere, il giovane o la giovane sarebbe stato istruito all'inizio da Brom, per poi essere mandato dagli elfi a completare
l'addestramento. Eragon deve quindi scegliere se aderire all'accordo.
Eragon conosce il re dei nani, Rothgar, e la figlia di Ajihad, Nasuada; viene messo alla prova dai Gemelli, due perfidi
stregoni calvi al servizio di Ajihad; si esercita nella scherma con Arya, dopo che l'elfa si è ripresa; e incontra di nuovo
Angela e Solembum, che si sono uniti ai Varden. Eragon e Saphira impartiscono anche una benedizione a una piccola
orfana dei Varden.
All'improvviso giunge la notizia che un esercito di Urgali si sta avvicinando attraverso le gallerie scavate nei monti dai
nani. Nella battaglia che segue, Eragon viene separato da Saphira e si trova ad affrontare Durza da solo. Molto più
forte di qualsiasi essere umano, in pochi istanti lo Spettro ha la meglio su Eragon, infliggendogli una profonda ferita
che gli solca la schiena dalla spalla fino al fianco. Ma in quel momento, Saphira e Arya irrompono nella sala dall'alto -
mandando in frantumi il grande Zaffiro Stellato che copriva la volta - ed Eragon approfitta dell'attimo di distrazione di
Durza per colpirlo dritto al cuore. Privati dei sortilegi dello Spettro, gli Urgali si disperdono e vengono ricacciati nei
tunnel.
Nello stato d'incoscienza in cui versa dopo la battaglia, Eragon viene contattato per via telepatica da Togira Ikonoka, lo
Storpio Che è Sano, che si offre di dare una risposta a tutte le sue domande. Eragon dovrà cercarlo a Ellesméra, dove
vivono gli elfi.
Quando Eragon riprende i sensi, scopre che, malgrado tutti gli sforzi e le cure di Angela, gli è rimasta una terribile
cicatrice, analoga a quella di
Murtagh. Sgomento, si rende conto di aver sconfitto Durza soltanto per un colpo di fortuna, e di avere un assoluto
bisogno di approfondire il proprio addestramento.
Alla fine del Libro Primo, Eragon decide di partire per andare in cerca di Togira Ikonoka e completare la sua istruzione.
Poiché il fosco Destino ha accelerato il passo, le prime note di guerra riecheggiano in Alagaésia, e si avvicina in fretta il
momento in cui Eragon dovrà affrontare il suo unico, vero nemico: il re Galbatorix.
Una duplice sventura
Il canto dei morti è il pianto dei vivi. Questo pensò Eragon nello scavalcare il cadavere mutilato di un Urgali, mentre si
levavano le lamentazioni funebri delle donne che portavano via le salme dei loro cari dalla piana intrisa di sangue del
Farthen Dùr. Alle sue spalle, Saphira aggirò la carcassa ondeggiando sinuosa; le sue squame blu zaffiro erano l'unica
nota di colore nell'oscurità che dominava la montagna cava.
Erano passati tre giorni da quando i Varden e i nani si erano battuti contro gli Urgali per difendere Tronjheim, la
città-montagna alta un miglio nel cuore del Farthen Dùr, ma il campo di battaglia era ancora disseminato di cadaveri.
L'enorme numero di caduti aveva rallentato le operazioni di sepoltura. In lontananza, una pira imponente rosseggiava ai
piedi di un costone del Farthen Dùr: erano le carcasse degli Urgali che bruciavano. Nessun funerale e nessuna degna
sepoltura per loro.
Da quando si era svegliato e aveva scoperto che Angela gli aveva guarito la ferita, per ben tre volte Eragon aveva
tentato di dare il proprio contributo alla ricostruzione, ma era stato trafitto da dolori indicibili alla spina dorsale. I
guaritori gli avevano somministrato varie pozioni da bere. Arya e Angela sostenevano che era perfettamente guarito.
Eppure il dolore continuava a tormentarlo. Nemmeno Saphira era in grado di aiutarlo, se non condividendo la
sofferenza trasfusa dal loro legame mentale.
Eragon si passò una mano sul viso e alzò lo sguardo alle stelle che si affacciavano dalla sommità aperta del Farthen
Dùr, offuscate dal denso fumo nero della pira. Tre giorni. Erano trascorsi tre giorni da quando aveva ucciso Durza; tre
giorni da quando la gente aveva preso a chiamarlo Ammazzaspettri; tre giorni da quando i residui di coscienza dello
stregone gli avevano devastato la mente, ed era stato salvato dal misterioso Togira Ikonoka, lo Storpio Che è Sano.
Non aveva fatto parola con nessuno della sua visione, tranne che con Saphira. La lotta contro Durza e gli spiriti oscuri
che lo controllavano lo aveva trasformato; se in meglio o in peggio, era ancora presto per dirlo. Eragon si sentiva
fragile, come se un colpo improvviso potesse mandargli in frantumi il corpo e la mente che ancora dovevano ristabilirsi.
E adesso era tornato sul campo di battaglia, spinto dal desiderio morboso di vedere le conseguenze dei combattimenti.
Non trovò altro che l'inquietante presenza della morte e della decomposizione; nessuna traccia della gloria di cui
narravano le antiche ballate eroiche.
Prima che suo zio Garrow venisse ucciso dai crudeli Ra'zac, mesi addietro, la brutalità a cui Eragon aveva assistito fra
umani, nani e Urgali lo avrebbe annientato. Ora lo rendeva quasi insensibile. Si era reso conto, con l'aiuto di Saphira,
che l'unico modo per conservare la propria razionalità davanti a quel dolore straziante era fare qualcosa. Inoltre non
credeva più che la vita avesse un significato intrinseco, non dopo aver visto uomini fatti a pezzi dai Kull, una tribù di
Urgali giganteschi, e il terreno disseminato di membra mozzate, così zuppo di sangue da trasformarsi in un orrido
pantano che gli risucchiava le suole degli stivali. Se mai esisteva un qualche tipo di onore in guerra, aveva concluso,
era soltanto questo: combattere per difendere gli inermi.
Si chinò a raccogliere un molare da terra. Facendosi rimbalzare il dente sul palmo della mano, continuò a percorrere
lentamente con Saphira il perimetro della piana devastata. A un tratto si fermarono nel vedere Jòrmundur, il
vicecomandante di Ajihad, che usciva da Tronjheim di gran carriera, diretto verso di loro. Quando fu a breve distanza,
s'inchinò: un gesto che, Eragon lo sapeva, non avrebbe mai compiuto fino a qualche giorno prima.
«Sono lieto di averti trovato in tempo, Eragon.» Nel pugno stringeva un rotolo di pergamena. «Ajihad sta tornando, e
vuole che tu sia presente al suo arrivo. Gli altri lo stanno già aspettando davanti al cancello ovest di Tronjheim.
Dobbiamo affrettarci, se vogliamo arrivare in tempo.»
Eragon annuì e si diresse verso il cancello, con una mano appoggiata sul fianco di Saphira. Ajihad mancava ormai da
tre giorni, impegnato a inseguire gli Urgali che erano riusciti a fuggire nel labirinto di tunnel scavati dai nani nella roccia
dei Monti Beor. L'unica volta che Eragon lo aveva scorto, fra una spedizione e l'altra, Ajihad era in preda a un attacco
di collera per aver scoperto che sua figlia Nasuada gli aveva disobbedito: non aveva abbandonato la città insieme alle
altre donne e ai bambini, come le era stato ordinato, ma aveva combattuto in segreto fra le schiere di arcieri Varden.
Murtagh e i Gemelli avevano accompagnato Ajihad. I Gemelli perché era una missione pericolosa, e il capo dei Varden
aveva bisogno di essere protetto dalle loro arti magiche, e Murtagh perché voleva continuare a dimostrare ai Varden
che potevano fidarsi di lui. Eragon era rimasto sorpreso nel vedere quanto era cambiato l'atteggiamento del popolo nei
riguardi di Murtagh, pur sapendo che suo padre, Morzan, era stato il Cavaliere dei Draghi che aveva tradito i suoi
compagni per consegnarli a Galbatorix. Anche se Murtagh aveva dichiarato di odiare il padre e di essere leale a Eragon,
i Varden non gli avevano creduto. Ma nessuno aveva voglia di sprecare energie per covare un antico rancore, quando
c'era ancora tanto lavoro da fare. Eragon sentiva la mancanza delle loro chiacchierate, e non vedeva l'ora che tornasse
per discutere con lui degli eventi appena accaduti.
Mentre Eragon e Saphira giravano intorno a Tronjheim, videro un gruppetto sparuto di persone nel cono di luce
gettato dalle lanterne nei pressi del cancello di legno. Fra loro c'erano Orik e Arya. Il nano si dondolava impaziente da
una tozza gamba all'altra; la benda bianca avvolta intorno al braccio dell'elfa spandeva deboli riflessi sui suoi capelli
corvini. Eragon si sentì pervadere dallo strano brivido che provava ogni volta che vedeva l'elfa. Arya guardò lui e
Saphira con un fugace scintillio negli occhi verdi, che subito tornò a rivolgere nella direzione da cui doveva arrivare
Ajihad.
Grazie all'intervento di Arya, che aveva infranto Isidar
Mithrim - l'immenso Zaffiro Stellato largo venti iarde, tagliato a forma di rosa -, Eragon aveva potuto uccidere Durza e
vincere così la battaglia; ma i nani erano furiosi con l'elfa perché aveva distrutto il loro tesoro più prezioso. Si erano
rifiutati di rimuovere i frammenti sparpagliati dello zaffiro, lasciandoli in un ampio circolo all'interno della camera
centrale di Tronjheim. Eragon aveva camminato fra le schegge scintillanti e condiviso il dolore dei nani per la loro
bellezza perduta.
Lui e Saphira si fermarono accanto a Orik, lasciando vagare lo sguardo sulla piana deserta che circondava Tronjheim e
si estendeva per un raggio di cinque miglia fino alla base del Farthen Dùr. «Da che parte arriverà Ajihad?» domandò
Eragon.
Orik indicò un grappolo di lanterne che illuminavano l'imboccatura di un tunnel, a due miglia di distanza. «Dovrebbe
essere qui a momenti.»
Eragon aspettava paziente insieme agli altri, rispondendo con garbo alle domande che gli venivano rivolte, ma
rifugiandosi spesso nella quiete della mente per conversare con Saphira. Nel suo attuale stato d'animo, il silenzio che
regnava nel Farthen Dùr gli era più congeniale.
Dopo mezz'ora, scorsero del movimento nel tunnel. Un gruppo di dieci umani uscì allo scoperto, poi si volsero per
aiutare altrettanti nani a emergere dal sottosuolo. Uno degli uomini - Ajihad, con tutta probabilità - alzò una mano, e i
guerrieri si disposero alle sue spalle in due colonne compatte. A un suo segnale, la formazione cominciò a marciare
fiera e decisa verso Tronjheim.
Non avevano percorso più di cinque iarde, però, che il tunnel dietro di loro si animò di attività frenetica, mentre altre
figure sciamavano all'esterno. Eragon strizzò gli occhi, incapace di distinguere bene da quella distanza.
Sono Urgali! esclamò Saphira, il corpo teso come la corda di un arco.
Eragon non ne dubitò nemmeno per un istante. «Urgali!» gridò, e balzò in groppa a Saphira, rimproverandosi di aver
lasciato Zar'roc, la sua spada, in camera. Nessuno si era aspettato un nuovo attacco, ora che l'esercito degli Urgali era
stato respinto.
Saphira levò le ali azzurre e le riabbassò con forza per levarsi in volo; il contraccolpo provocò a Eragon una nuova fitta
di dolore lungo la schiena. Mentre la dragonessa acquistava quota e velocità, sempre di più a ogni battito d'ali, sotto di
loro Arya sfrecciava verso il tunnel, riuscendo quasi a tenere il passo con Saphira. Orik arrancava dietro di lei insieme a
un folto drappello di uomini, mentre Jòrmundur tornava di corsa alle caserme.
Eragon fu costretto ad assistere impotente all'aggressione degli Urgali alla retroguardia di Ajihad; non era in grado di
esercitare la magia da quella distanza. I mostri sfruttarono il vantaggio della sorpresa per abbattere subito quattro
uomini, costringendo il resto dei soldati, umani e nani insieme, a radunarsi intorno ad Ajihad nel tentativo di
proteggerlo. Le due compagini entrarono in contatto, facendo risuonare il metallo delle spade e delle asce. Uno dei
Gemelli scagliò un lampo di luce, e un Urgali cadde, stringendosi il moncherino di un braccio reciso.
Per un minuto parve che gli assaliti ce la facessero a resistere agli Urgali, ma poi la scena cambiò all'improvviso,
trasformandosi in un turbinio confuso, come se i combattenti fossero stati avvolti da una leggera coltre di nebbia.
Quando si diradò, non restavano in piedi che quattro guerrieri: Ajihad, i Gemelli e Murtagh. Gli Urgali si avventarono
su di loro, ostacolando la visuale di Eragon che osservava la scena con orrore crescente.
No! No! No!
Prima che Saphira fosse in grado di raggiungere il luogo dello scontro, il manipolo di Urgali sciamò di nuovo verso il
tunnel e scomparve sottoterra, lasciandosi alle spalle soltanto figure inerti.
Non appena Saphira toccò terra, Eragon si slanciò dalla sella, poi esitò, sopraffatto dal dolore e dalla rabbia. Non
posso. La sua mente evocò le immagini di quando era tornato alla fattoria e aveva trovato lo zio Garrow moribondo.
Con un immane sforzo di volontà, ricacciò indietro la paura e cominciò a cercare i superstiti.
La scena era fin troppo simile al campo di battaglia che aveva ispezionato poco prima: ma in questo caso il sangue era
fresco.
Al centro del massacro giaceva Ajihad, con il pettorale di metallo squarciato in più punti, circondato da cinque Urgali
che lui stesso aveva ucciso. Il respiro gli usciva in rantoli spezzati. Eragon s'inginocchiò al suo fianco e abbassò il
capo perché le lacrime non cadessero sul torace martoriato del capo dei Varden. Nessuno era in grado di guarire quelle
ferite. Arrivò anche Arya, che si fermò di colpo con il viso trasfigurato dall'angoscia nel constatare che Ajihad non
poteva essere salvato.
«Eragon.» Il nome esalò dalle labbra di Ajihad come il più lieve dei sussurri.
«Sì, sono qui.»
«Ascoltami, Eragon... Questa è la mia ultima volontà.» Eragon si protese su di lui per cogliere le parole dell'uomo
morente. «Devi promettermi una cosa: promettimi che non... lascerai che i Varden precipitino nel caos. Loro
rappresentano l'unica speranza di combattere l'Impero... Devono restare uniti. Promettimelo.»
«Lo prometto.»
«Che la pace sia con te, Eragon Ammazzaspettri...» E dopo un ultimo sospiro, Ajihad chiuse gli occhi, distese i nobili
lineamenti e spirò.
Eragon chinò il capo. Si sentiva la gola stretta in una dolorosa morsa che lo faceva respirare a fatica. Arya benedisse
Ajihad con un delicato mormorio nell'antica lingua, poi aggiunse con la sua voce melodiosa: «Ahimè, la sua morte
scatenerà aspri conflitti. Ajihad ha ragione: tu dovrai fare di tutto per evitare una lotta per il potere. Io ti assisterò, dove
possibile.»
Senza dire una parola, Eragon scrutò il resto dei cadaveri. Avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi da un'altra parte.
Saphira annusò uno degli Urgali e disse: Non sarebbe dovuto accadere. È una sciagura terrìbile, ancora più nefasta
perché è capitata quando avremmo dovuto sentirci sicuri e vittoriosi. Esaminò un altro corpo, poi volse la testa da un
lato e dall'altro. Che fine hanno fatto Murtagh e i Gemelli? Fra i morti non ci sono.
Eragon passò in rassegna i cadaveri. Hai ragione! Pervaso da un'improvvisa euforia, corse verso l'imboccatura del
tunnel. Negli avvallamenti consumati dei gradini di marmo rilucevano, simili a tanti specchi neri, pozze di sangue denso,
come se qualcuno avesse trascinato dei corpi feriti sulle scale. Devono averli presi gli Urgali! Ma perché? Di solito non
fanno prigionieri ostaggi. Eragon ripiombò nella più cupa disperazione. Non importa. Non possiamo inseguirli senza
rinforzi, e comunque tu non riusciresti mai a passare per quel varco.
Potrebbero essere ancora vivi. Hai intenzione di abbandonarli?
Cosa ti aspetti che faccia? I tunnel dei nani sono un labirinto sconfinato! Di sicuro mi perderei. E non posso inseguire
gli Urgali a piedi, anche se forse Arya ne sarebbe capace.
Allora chiedilo a lei.
Arya! Eragon esitò, combattuto fra il desiderio di agire e il rifiuto di metterla in pericolo. Eppure se c'era una persona fra
i Varden che potesse affrontare gli Urgali, quella era lei. Con un sospiro afflitto, le spiegò che cosa avevano scoperto.
Arya corrugò le sopracciglia oblique. «Non ha senso.»
«Vorresti inseguirli?»
Lei lo guardò per un lunghissimo istante. «Wiol ono.» Per te. Poi si slanciò verso il tunnel; e la lama della sua spada
brillò un'ultima volta prima di venire inghiottita nelle viscere della terra.
Fremente d'inutile rabbia, Eragon si sedette a gambe incrociate accanto ad Ajihad per vegliare il cadavere. Non riusciva
ancora ad accettare il fatto che Ajihad fosse morto e Murtagh scomparso. Murtagh. Figlio di uno dei Rinnegati - i
tredici Cavalieri che avevano aiutato Galbatorix a distruggere l'ordine e ad autoproclamarsi re di Alagaésia e amico di
Eragon. Più di una volta Eragon aveva desiderato che Murtagh se ne andasse, ma adesso che non c'era, la sua assenza
gli lasciava un vuoto inatteso. Continuò a restare seduto, mentre Orik arrivava con gli uomini.
Non appena vide Ajihad, Orik pestò i piedi con foga e imprecò nella lingua dei nani, roteando l'ascia per poi abbatterla
sulla carcassa di un Urgali. Gli uomini rimasero impietriti. Torcendosi le mani callose e sporche di terra, il nano
borbottò: «Ah, vedrai adesso che vespaio si solleverà. Non ci sarà pace fra i Varden dopo questa sciagura. Barzuln,
qui le cose si complicano. Hai fatto in tempo ad ascoltare le sue ultime parole?»
Eragon scoccò un'occhiata a Saphira. «Aspetterò di trovarmi di fronte alla persona giusta prima di ripeterle.»
«Capisco. Dov'è Arya?»
Eragon indicò il tunnel.
Orik imprecò di nuovo, poi scrollò la testa e si accovacciò.
Jòrmundur arrivò poco dopo con dodici plotoni da sei uomini ciascuno. Indicò loro di attendere fuori dal cerchio di
cadaveri e proseguì da solo. Toccò la spalla di Ajihad. «Mio buon amico, come ha potuto il destino essere tanto
crudele? Sarei arrivato prima, se non fosse stato per la vastità di questa maledetta montagna, e forse ti saresti salvato.
La sventura ci ha colpiti al culmine del nostro trionfo.»
Eragon gli accennò sottovoce di Arya e della scomparsa dei Gemelli e di Murtagh.
«Non avrebbe dovuto allontanarsi» replicò Jòrmundur, rialzandosi in piedi, «ma al momento non possiamo fare nulla.
Metteremo delle sentinelle sul posto, ma ci vorrà almeno un'ora prima di poter convocare le guide dei nani per un'altra
spedizione nei tunnel.»
«Sarò lieto di guidarla» si offrì Orik.
Jòrmundur rivolse uno sguardo mesto verso Tronjheim. «No, Rothgar avrà bisogno di te. Andrà qualcun altro. Mi
rincresce, Eragon, ma tutte le persone più influenti dovranno attendere qui finché non sarà nominato il successore di
Ajihad. Arya dovrà cavarsela da sola... E comunque non saremmo mai in grado di raggiungerla.»
Eragon annuì, accettando l'inevitabile.
Jòrmundur lasciò vagare lo sguardo prima di dire ad alta voce, perché tutti potessero udirlo: «Ajihad è morto da vero
guerriero! Guardate, ha ucciso cinque Urgali, quando ne sarebbe bastato uno soltanto a sopraffare un uomo qualsiasi.
Lo seppelliremo con tutti gli onori, e che gli dei accolgano con benevolenza il suo spirito. Sollevate lui e i nostri
compagni sui vostri scudi e riportateli a Tronjheim... e non abbiate pudore di mostrare le vostre lacrime, poiché questo
è un giorno di grande lutto che tutti ricorderanno. Io prego perché presto possiamo avere il privilegio di affondare le
nostre lame nei mostri che hanno ucciso il nostro condottiero!»
I soldati s'inginocchiarono come un sol uomo, scoprendosi la testa in segno di rispetto. Poi si alzarono, e con
deferenza sollevarono Ajihad sugli scudi che si appoggiarono in spalla. Molti dei Varden erano scossi dai singhiozzi, le
folte barbe inzuppate di lacrime, ma nessuno venne meno al suo dovere e lasciò che Ajihad scivolasse.
Marciando solenni, tornarono a Tronjheim, con Eragon e Saphira al centro del corteo.
Il Consiglio degli Anziani
Eragon si destò e si voltò verso il bordo del letto, scrutando la stanza immersa nella luce soffusa che proveniva da una
lanterna schermata. Si alzò a sedere e guardò Saphira che dormiva. I suoi fianchi possenti si espandevano e si
contraevano, al ritmo degli enormi mantici dei polmoni che soffiavano l'aria attraverso le narici squamose. Eragon
pensò all'inferno ruggente che ormai la dragonessa era capace di sprigionare a comando dalle fauci. Era uno spettacolo
mozzafiato, quando fiamme in grado di sciogliere il metallo le guizzavano fra le zanne d'avorio e la lingua senza
intaccarle. Dalla prima volta in cui aveva sputato fuoco, durante il duello di Eragon con Durza, gettandosi in picchiata
su di loro dalla sommità di Tronjheim, Saphira approfittava di ogni occasione per sfoggiare il suo nuovo talento.
Soffiava continuamente minuscole vampe di fuoco per incenerire piccoli oggetti.
Poiché Isidar Mithrim era andata distrutta, non erano più potuti alloggiare nella roccaforte dei draghi situata sopra di
essa. I nani avevano offerto loro un vecchio corpo di guardia al pianterreno di Tronjheim. Era un'ampia camerata, ma
aveva il soffitto basso e le pareti scure.
L'angoscia tornò a impadronirsi di Eragon quando ripensò agli eventi del giorno prima. Gli occhi gli si riempirono di
lacrime; una gli cadde nel palmo della mano. Non avevano avuto notizie di Arya fino a tarda notte, quando era riemersa
dal tunnel, esausta e con i piedi sanguinanti. Malgrado i suoi sforzi - e la sua magia - gli Urgali le erano sfuggiti. "Ho
trovato questi" aveva detto. E mostrò uno dei mantelli viola dei Gemelli, strappato e macchiato di sangue; la tunica di
Murtagh; ed entrambi i suoi guanti di pelle. "Erano sul ciglio di un nero abisso, dove non arriva nessun tunnel. Gli
Urgali devono averli spogliati di corazze e armi, e aver gettato i corpi nella voragine. Ho provato a divinare sia Murtagh
che i Gemelli, ma non ho visto altro che le tenebre dell'abisso." I suoi occhi avevano incontrato quelli di Eragon. "Mi
dispiace. Sono morti."
Soltanto adesso Eragon si concesse l'amaro lusso di piangere Murtagh. Il suo cuore era oppresso da una strisciante e
spaventosa sensazione di perdita, resa ancor più dolorosa dal fatto che, nel corso degli ultimi mesi, gli era diventata
sempre più familiare.
Mentre contemplava la lacrima sulla mano - una piccola goccia lucente - decise di ricorrere alla cristallomanzia per
divinare i tre uomini. Sapeva che era un tentativo futile e disperato, ma doveva provare ugualmente per convincersi che
Murtagh era davvero morto. Tuttavia non era del tutto sicuro di voler riuscire laddove Arya aveva fallito; quale
consolazione avrebbe tratto dal vedere Murtagh sfracellato sul fondo di un abisso sotto il Farthen Dùr?
Mormorò: «Draumr kópa.» Le tenebre pervasero la goccia, trasformandola in una minuscola cupola nera nel suo palmo
d'argento; balenò un guizzo fulmineo, come un improvviso frullo d'ali davanti a una luna offuscata... poi più nulla.
Un'altra lacrima raggiunse la prima.
Eragon trasse un profondo respiro, raddrizzò la schiena e tentò di rilassarsi. Da quando si era ripreso dalla ferita di
Durza, aveva capìto, per quanto fosse umiliante, di aver vinto per un semplice colpo di fortuna. Se mai dovessi
affrontare un altro Spettro, o i Ra'zac, o Galbatorix, dovrò essere più forte per assicurarmi la vittoria. Brom avrebbe
potuto insegnarmi di più, lo so. Ma senza di lui, non ho che un'unica scelta: gli elfi.
Il respiro di Saphira accelerò, e la dragonessa aprì gli occhi con un immane sbadiglio. Buongiorno, piccolo mio.
È buono davvero? Eragon abbassò lo sguardo e strinse con forza il bordo del materasso. È terribile... Murtagh e
Ajihad... Perché le sentinelle nei tunnel non ci hanno avvertiti degli altri Urgali? Quei mostri non possono aver seguito
il gruppo di Ajihad senza farsi notare... Arya aveva ragione, non ha senso.
Potremmo non conoscere mai la verità, disse Saphira in tono sommesso. Si alzò, e le ali sfiorarono il soffitto. Devi
mangiare qualcosa, poi andremo a scoprire cos'hanno in mente i Varden. Non c'è tempo da perdere. Potrebbero
scegliere un nuovo capo nel giro di poche ore.
Eragon assentì, ripensando alla scena che aveva lasciato la sera prima: Orik che correva da re Rothgar per annunciargli
la triste novella, Jòrmundur che scortava il corpo di Ajihad dove avrebbe riposato fino alle esequie, e Arya che restava
da sola a osservare quanto le accadeva intorno.
Eragon si alzò e prese sia Zar'roc che l'arco, poi si chinò a raccogliere la sella di Saphira. Una fitta lancinante gli
percorse la spina dorsale; crollò a terra in preda alle convulsioni, con le braccia che annaspavano cercando di toccare
la schiena. Era come se lo stessero segando in due. Saphira ringhiò quando fu raggiunta dalla sensazione straziante.
Cercò di alleviare il dolore del giovane con la propria mente, ma senza esito. L'istinto la portò a sollevare di scatto la
coda, come pronta a combattere.
L'attacco durò alcuni minuti per poi ridursi a una serie di spasmi sempre più lievi, lasciando Eragon boccheggiante.
Aveva il volto madido di sudore, i capelli incollati alla testa e gli occhi che gli bruciavano. Piegò indietro il braccio e
cercò a tastoni la parte superiore della cicatrice. Era bollente, infiammata e sensibile al tatto. Saphira abbassò il muso e
gli sfiorò il braccio. Oh, piccolo mio...
È stata la crisi peggiore, disse lui, rialzandosi a fatica. La dragonessa lasciò che Eragon si appoggiasse a lei, mentre si
asciugava il sudore con un telo per poi avviarsi barcollante alla porta.
Ti senti abbastanza in forze per andare?
Dobbiamo. È nostro obbligo, in quanto drago e Cavaliere, rendere una dichiarazione pubblica in merito alla scelta del
prossimo capo dei Varden, e forse addirittura influenzarla. Non posso ignorare l'importanza della nostra posizione;
ormai esercitiamo una grande autorità sui Varden. Se non altro, non ci sono i Gemelli a rivendicare la stessa posizione.
È l'unica nota positiva in questa tragedia.
D'accordo, allora, ma Durza si meriterebbe mille anni di tormenti per ciò che ti ha fatto.
Eragon borbottò un assenso. Ma tu stammi vicina.
Insieme si avviarono nel dedalo di corridoi di Tronjheim, diretti alla cucina più vicina. La gente si fermava e s'inchinava
al loro passaggio, mormorando "Argetlam" o "Ammazzaspettri". Perfino i nani accennavano il gesto, anche se non così
spesso. Eragon rimase colpito dalle espressioni tetre e malinconiche degli umani, e dagli abiti scuri che indossavano in
segno di lutto. Molte donne erano vestite di nero da capo a piedi, con veli di merletto drappeggiati sul viso.
In cucina, Eragon prese un piatto di pietra colmo di cibo e si sedette a un tavolino basso. Saphira lo osservava con
attenzione, nel caso gli venisse un'altra crisi. Molte persone provarono ad avvicinarsi, ma lei le tenne a distanza
sollevando un labbro e ringhiando piano, chiaro monito a non fare un altro passo. Eragon fingeva di ignorare gli intrusi
e piluccava il cibo. Alla fine, nel tentativo di distogliere la mente da Murtagh, chiese: Chi credi abbia i mezzi per
controllare i Varden, ora che Ajihad e i Gemelli sono morti?
Saphira esitò. È possibile che sia tu, se le ultime parole di Ajihad devono essere interpretate come una benedizione a
garanzia della successione. Non credo che qualcuno oserebbe opporsi. Tuttavia, non mi pare la giusta via da
percorrere. Prevedo soltanto guai da quella parte.
Sono d'accordo. Tanto più che Arya non approverebbe, e potrebbe addirittura rivelarsi un pericoloso nemico. Gli elfi
non possono mentire nell'antica lingua, ma non hanno scrupoli a farlo nella nostra... Arriverebbe perfino a negare che
Ajihad abbia mai pronunciato quelle parole, se dovesse servire ai suoi scopi. No, non voglio quell'incarico... Che ne
dici di Jormundur?
Ajihad lo chiamava il suo braccio destro. Purtroppo non sappiamo molto di lui o degli altri capi dei Varden. È passato
troppo poco tempo da quando siamo arrivati qui. Dovremo esprìmere il nostro parere basandoci sulle nostre sensazioni
e impressioni, senza il beneficio della storia.
Eragon spappolò tra le dita un grumo di crema di tubero. Non dimenticare Rothgar e i clan dei nani; non se ne staranno
in disparte. Salvo Arya, gli elfi non potranno interferire nella successione... sarà presa una decisione prima che una
sola parola di tutto questo li raggiunga. Ma non si possono ignorare i nani. Rothgar appoggia i Varden, ma se incontra
l'opposizione di un numero sufficiente di clan, potrebbe essere indotto a sostenere qualcuno inadeguato al comando.
E chi potrebbe essere?
Una persona facilmente manovrabile. Eragon chiuse gli occhi e appoggiò la schiena al muro. Potrebbe essere chiunque
nel Farthen Dùr. Chiunque.
Per lunghi minuti rimasero in silenzio a riflettere su quanto li aspettava. Poi Saphira disse: Eragon, c'è qualcuno che
vuole vederti. Non riesco a mandarlo via.
Eh? Eragon socchiuse piano gli occhi, per abituarli alla luce. Davanti al tavolo c'era un ragazzino pallido, che scrutava
di continuo Saphira come se temesse di essere divorato da un momento all'altro.
«Cosa c'è?» chiese Eragon, brusco ma non scortese.
Il ragazzino trasalì, avvampò e s'inchinò con deferenza. «Sei stato convocato, Argetlam, al cospetto del Consiglio degli
Anziani.»
«Chi sono?»
La domanda confuse ancor di più il ragazzo. «Il... il Consiglio è... sono... persone che noi... voglio dire i Varden...
abbiamo scelto per parlare in nostra vece davanti ad Ajihad. Erano i suoi fidati consiglieri, e adesso desiderano vederti.
È un grande onore!» concluse con un fugace sorriso.
«Sarai tu a condurmi da loro?»
«Sì, io.»
Saphira scoccò a Eragon un'occhiata interrogativa. Lui si strinse nelle spalle e lasciò il piatto pressoché intatto,
facendo cenno al ragazzo di mostrargli la strada. Mentre camminavano, il ragazzo s'illuminò nell'ammirare Zar'roc, poi
abbassò gli occhi, intimidito.
«Come ti chiami?» gli chiese Eragon.
«Jarsha, signore.»
«È un bel nome. Sei stato bravo a riferire il messaggio; dovresti sentirti orgoglioso.» Jarsha sorrise raggiante e affrettò
il passo.
Giunsero davanti a una porta convessa di pietra, che Jarsha aprì con una spinta. La sala all'interno era circolare, con un
soffitto a volta color del cielo, decorato di costellazioni. Al centro c'era una tavola rotonda di marmo, intarsiata con lo
stemma del Dùrgrimst Ingietum: un martello circondato da dodici stelle. Erano presenti Jòrmundur e altri due uomini,
uno alto e magro, l'altro basso e tarchiato; una donna con le labbra strette, gli occhi ravvicinati, e le guance colorate da
fitti disegni; e una seconda donna con una criniera di capelli grigi che incorniciavano un florido volto dall'aria materna,
smentita dall'elsa di un pugnale che spuntava dalle prospere colline del corsetto.
«Puoi andare» disse Jòrmundur a Jarsha, che abbozzò un veloce inchino e si dileguò.
Consapevole di essere al centro dell'attenzione, Eragon esaminò la sala, poi prese posto in mezzo a una serie di scranni
vuoti, costringendo i membri del consiglio a voltarsi per continuare a guardarlo. Saphira si accucciò alle sue spalle;
Eragon ne sentiva l'alito caldo sulla testa.
Jòrmundur accennò appena ad alzarsi per abbozzare un inchino, e si risedette. «Grazie di essere venuto, Eragon,
benché anche tu abbia sofferto un grave lutto. Ti presento Umérth» l'uomo alto, «Falberd» l'uomo tarchiato, «e Sabra
ed Elessari» le due donne.
Eragon chinò la testa, poi domandò: «Anche i Gemelli facevano parte di questo consiglio?»
Sabra scosse il capo con foga, tamburellando sul marmo con un'unghia affilata. «Quegli individui non avevano nulla a
che fare con noi. Erano vermi... vermi della peggior specie... sanguisughe che agivano soltanto per i propri interessi.
Non avevano alcuna intenzione di servire i Varden, e quindi non c'era posto per loro in questo consiglio.» Pur
essendoci una grande distanza fra loro, Eragon riusciva a sentire il suo profumo, pungente e viscido, come quello di un
fiore in putrefazione. Represse un sorriso al pensiero.
«Basta. Non siamo qui per parlare dei Gemelli» disse Jòrmundur. «Ci troviamo ad affrontare una crisi che occorre
superare in fretta, e con la massima efficienza. Se non scegliamo noi il successore di Ajihad, ci penserà qualcun altro.
Rothgar ci ha già espresso le sue condoglianze, ma nonostante i suoi modi più che garbati, sono sicuro che sta già
elaborando una sua strategia. Dobbiamo inoltre considerare il Du Vrangr Gata, gli stregoni del Tortuoso Cammino. La
maggior parte di loro sono leali ai Varden, ma è difficile prevedere le loro mosse persino quando la situazione è
tranquilla. Potrebbero decidere di opporsi alla nostra autorità al fine di perseguire i loro obiettivi. Ecco perché ci serve il
tuo appoggio, Eragon: per garantire la legittimità a chiunque sia destinato a prendere il posto di Ajihad.»
Falberd issò la sua mole dalla sedia, piantando le mani carnose sul marmo. «Noi cinque abbiamo già deciso chi
sostenere. Fra di noi, nessuno dubita di chi sia la persona giusta. Ma» aggiunse, sollevando il grasso indice, «prima di
rivelarti il suo nome, vogliamo la tua parola d'onore che non una virgola della nostra discussione uscirà da questa sala,
che tu sia d'accordo con noi oppure no.»
Perché vogliono questo da me? domandò Eragon a Saphira.
Non lo so, rispose lei sbuffando. Potrebbe essere una trappola. ..È un rischio che devi correre. Ricorda, però, che a me
non hanno chiesto alcun impegno. Potrò sempre riferire ad Arya quanto diranno, se necessario. Sciocco da parte loro,
dimenticare che sono intelligente quanto un essere umano.
Confortato da quel pensiero, Eragon disse: «D'accordo, avete la mia parola. E dunque, chi volete che comandi i
Varden?»
«Nasuada.»
Colto alla sprovvista, Eragon abbassò lo sguardo per riflettere alla svelta. Non aveva preso in considerazione Nasuada
per la successione, a causa della sua giovane età: era di appena qualche anno più grande di lui. Non esisteva alcun
motivo concreto, ovviamente, perché non fosse lei ad assumere l'incarico, ma quali recondite ragioni erano celate dietro
la scelta del Consiglio degli Anziani? In che modo ne avrebbero tratto vantaggio? Rammentò i consigli di Brom e cercò
di esaminare la situazione da ogni angolatura possibile, sapendo che doveva decidere in fretta.
Nasuada ha i nervi d'acciaio, osservò Saphira. Potrebbe essere come suo padre.
Forse, ma quali sono le ragioni dietro questa scelta?
Per guadagnare tempo, Eragon domandò: «Perché non tu, Jòrmundur? Ajihad ti considerava il suo braccio destro. Non
dovresti essere tu a prendere il suo posto ora che è morto?»
Un fremito d'inquietudine pervase il consiglio: Sabra raddrizzò la schiena, le mani intrecciate avanti a sé; Umérth e
Falberd si scambiarono sguardi cupi, mentre Elessari si limitò a sorridere, l'elsa del pugnale che scintillava nel solco dei
seni.
«Perché» rispose Jòrmundur, scegliendo le parole con cura «Ajihad si riferiva alle questioni militari, nient'altro. Inoltre,
sono membro di questo consiglio, che ha potere solo perché ci sosteniamo l'un l'altro. Sarebbe stupido e avventato da
parte di uno qualsiasi di noi elevarsi al di sopra degli altri.» Il consiglio si acquietò al termine del breve discorso, ed
Elessari battè il palmo sul braccio di Jòrmundur.
Hai esclamò Saphira. Probàbilmente avrebbe già rivendicato la posizione, se avesse trovato il modo di farsi sostenere
dagli altri. Guarda come lo fissano. Sembra un lupo in mezzo a loro.
Un lupo in mezzo a un branco di sciacalli, direi.
«Nasuada possiede sufficiente esperienza?» indagò Eragon.
Elessari protese le sue forme sul tavolo. «Ero qui già da sette anni quando Ajihad si unì ai Varden. Ho visto crescere
Nasuada e trasformarsi da bambina vivace nella donna che è ora. Forse un po' impulsiva in certe occasioni, ma perfetta
per guidare i Varden. Il popolo l'amerà. E io» dichiarò, battendosi orgogliosamente il petto «e i miei amici saremo qui per
guidarla in questi tempi difficili. Non resterà mai senza qualcuno che le indichi la via. L'inesperienza non sarà un
ostacolo al ruolo che le compete!»
Eragon afferrò al volo. Vogliono una marionetta!
«Le esequie di Ajihad si terranno fra due giorni» intervenne Umérth. «Subito dopo, abbiamo in programma di
designare Nasuada come nostro nuovo capo. Dobbiamo ancora chiederglielo, ma siamo sicuri che accetterà. Vogliamo
che tu sia presente alla nomina, perché in tal caso nessuno, nemmeno Rothgar, potrà lamentarsi della designazione. E
vogliamo un tuo giuramento di fedeltà ai Varden. Questo servirà a restituire al popolo la fiducia che ha smarrito con la
morte di Ajihad, e impedirà qualsiasi tentativo di disgregare questa organizzazione.»
Fedeltà!
Saphira sfiorò la mente di Eragon. Nota bene, non vogliono che giurì fedeltà a Nasuada... solo ai Varden.
Già, e vogliono essere loro a designare ufficialmente Nasuada, per ribadire la supremazia del consiglio. Avrebbero
potuto chiedere ad Arya o a noi di farlo, ma questo significherebbe riconoscere la superiorità del designatore su tutti i
Varden. In questo modo, invece, rafforzano la loro autorità su Nasuada e ottengono il controllo su di noi attraverso il
giuramento di fedeltà, con il vantaggio supplementare di avere un Cavaliere che sostiene Nasuada in pubblico.
«Che succede» domandò «se decido di non accettare la vostra proposta?»
«Proposta?» replicò Falberd, perplesso. «Be'... niente, è naturale. Solo che sarebbe una terribile negligenza se tu non
presenziassi alla nomina di Nasuada. Se l'eroe del Farthen Dùr la ignorasse, cosa potrebbe pensare lei se non che un
Cavaliere la disprezza e trova i Varden indegni da servire? Chi potrebbe sopportare una simile onta?»
Il messaggio non avrebbe potuto essere più esplicito.
Eragon strinse il pomo di Zar'roc sotto il tavolo, reprimendo l'impulso di gridare che non era necessario che lo
costringessero a sostenere i Varden, che lo avrebbe fatto in ogni caso. Tuttavia in quel momento provò il desiderio di
ribellarsi, di sottrarsi al giogo che stavano cercando di imporgli. «Poiché avete una così alta considerazione dei
Cavalieri, potrei decidere che i miei sforzi sarebbero meglio spesi guidando i Varden io stesso.»
L'atmosfera nella sala si fece subito tesa. «Sarebbe una mossa poco saggia» dichiarò Sabra.
Eragon si arrovellò in cerca di un modo per sfuggire alla situazione. Con la morte di Ajihad, disse Saphira, temo che
sarà difficile restare indipendenti dalle diverse fazioni come lui voleva. Non possiamo rischiare di inimicarci i Varden, e
se questo consiglio è destinato a controllarli attraverso Nasuada, allora dobbiamo assecondarlo. Rammenta, le loro
azioni scaturiscono dallo stesso spirito di conservazione che guida noi.
Ma cosa vorranno da noi quando saremo alla loro mercé? Rispetteranno il patto con gli elfi e ci manderanno a
Ellesméra per l'addestramento, o comanderanno altrimenti? Jormundur mi pare un uomo d'onore, ma il resto del
consiglio? Non saprèi dire.
Saphira gli sfiorò la cima dei capelli con la mascella. Acconsenti a presenziare alla cerimonia per la nomina di Nasuada;
questo credo che ci tocchi. Quanto al giuramento di fedeltà, cerca di capire se puoi evitarlo. Magari succederà
qualcosa, da qui ad allora, che possa ribaltare la nostra posizione... Arya potrebbe avere una soluzione.
Senza preavviso, Eragon annuì e disse: «Come desiderate. Sarò presente alla designazione di Nasuada.»
Jormundur parve sollevato. «Bene, molto bene. Ci resta soltanto un'ultima questione prima che tu vada via: il consenso
di Nasuada. Non c'è ragione di attardarsi, ora che siamo tutti qui. Manderò subito a chiamarla. E anche Arya... ci serve
l'approvazione degli elfi prima di rendere pubblica questa decisione. Non dovrebbe essere difficile da ottenere: Arya
non può mettersi contro il consiglio e contro di te, Eragon. Dovrà accettare il nostro giudizio.»
«Un momento» intervenne Elessari, con un luccichio metallico nello sguardo. «La tua parola, Cavaliere. Giurerai fedeltà
durante la cerimonia?»
«Certo, devi giurare» incalzò Falberd. «Sarebbe un disonore per i Varden non poterti fornire ogni protezione
necessaria.»
Ma che abile maniera per capovolgere la situazione!
Almeno ci hai provato, commentò Saphira. Temo che a questo punto tu non abbia scelta.
Non oserebbero farci del male se rifiutassi.
No, ma potrebbero ostacolarci. Non è per me che ti dico di accettare, ma per te stesso. Esistono molti pericoli dai quali
non sono in grado di proteggerti,
Eragon. Con Galbatorix contro di noi, ti servono alleati, non altri nemici. Non possiamo permetterci di combattere
contro l'Impero e i Varden.
«Giurerò» proclamò Eragon alla fine. Tutto intorno al tavolo si manifestarono segni tangibili di sollievo: persino un
malcelato sospiro di Umérth.
Hanno paura di noi
Com'e. giusto che sia! fu l'aspro commento di Saphira.
摘要:

ChristopherPaoliniELDEST-L'EREDITÀ(2005)LibroSecondoTraduzionediMariaConcettaScottodiSantilloFABBRIEDITORI©2005ChristopherPaoliniperiltesto©2005JohnJudePalencarperl'illustrazionedicopertina©2002ChristopherPaoliniperl'illustrazionedeirisguardiPubblicatoperlaprimavoltanegliStatiUnitinel2005daAlfredA.K...

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Christopher Paolini - Eldest (L'Eredit… Volume 2).pdf

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分类:外语学习 价格:5.9玖币 属性:227 页 大小:2.7MB 格式:PDF 时间:2024-12-24

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