Douglas Adams - Ristorante al termine dell'universo- Urania

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Douglas Adams
RISTORANTE AL TERMINE
DELL’UNIVERSO
(The Restaurant at the End of the Universe)
© 1980 Douglas Adams
© 1984 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Traduzione di Laura Serra
URANIA n. 968 – 15 aprile 1984
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Il succo della storia fin qui.
Al principio fu creato l’Universo. Questo fatto ha sconcertato non
poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa.
Numerose razze sono convinte che l’Universo sia stato creato da
una specie di dio.
Gli Jatravartid di Viltvodle VI credono invece che il cosmo sia
nato dallo starnuto di un essere chiamato il Grande Ciaparche Verde.
Gli Jatravartid, che vivono nel costante timore del giorno in cui ci
sarà l’Avvento del Grande Fazzoletto da Naso Bianco, sono piccole
creature azzurre fornite ciascuna di cinquanta braccia, ragion per cui
sono stati gli unici, nella storia delle razze intelligenti, ad avere
inventato il deodorante per ascelle prima della ruota.
La Teoria del Grande Ciaparche Verde non ha avuto comunque
molto successo al di fuori di Viltvodle VI, perciò la ricerca di altre
ipotesi che spiegassero la bizzarria dell’Universo è sempre stata
costante.
Una volta, per esempio, una razza di esseri superintelligenti e
pandimensionali costruirono un computer gigantesco chiamato
Pensiero Profondo, assegnandogli il compito di calcolare la Risposta
alla Domanda Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto.
Per sette milioni e mezzo di anni Pensiero Profondo calcolò e
computò, e alla fine annunciò che la risposta era Quarantadue, per cui
si dovette costruire un altro computer ancora più grande per scoprire
quale fosse la domanda.
Tale computer, che fu chiamato Terra, era talmente immenso che
spesso veniva scambiato per un pianeta, soprattutto dagli strani
indigeni simili a scimmie che popolavano la sua superficie e che erano
del tutto ignari di essere semplicemente parte di un programma ben
definito.
Certo questo è strano, perché, non disponendo di
quell’informazione del resto abbastanza banale e ovvia, era
impensabile sognare di poter dare un minimo senso a quello che
succedeva ed era successo sulla Terra.
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In ogni modo, proprio un attimo prima che fosse resa nota la
Domanda, la Terra venne inaspettatamente demolita dai Vogon, che
intendevano fare posto alla costruzione di una superstrada
iperspaziale, quindi la speranza di scoprire il significato della vita si
perse per sempre. O così almeno parve.
Due soli “esemplari” delle strane creature simili a scimmie che
popolavano il pianeta si salvarono.
Arthur Dent, terrestre, riuscì a fuggire all’ultimo momento perché
scoprì che Ford Prefect, un suo vecchio amico che fino allora aveva
sostenuto di essere di Guildford, era in realtà di un piccolo pianeta
nelle vicinanze di Betelgeuse e sapeva come chiedere un passaggio ai
dischi volanti.
Tricia McMillan, o Trillian, terrestre, se l’era squagliata dal
pianeta sei mesi prima assieme a Zaphod Beeblebrox, l’allora
Presidente della Galassia.
Due sopravvissuti, tutto ciò che rimane del più grande esperimento
mai tentato: trovare la Risposta Definitiva alla Domanda
Fondamentale sulla Vita, l’Universo e Tutto Quanto.
A poco meno di un milione di chilometri dall’astronave di questi
sopravvissuti, che scivolava pigramente nelle nere profondità dello
spazio, si muoveva, minacciosa e lenta, una nave vogon.
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Come tutte le navi vogon, anche quella non sembrava tanto frutto di
un progetto quanto di una coagulazione. I disgustosi bubboni gialli e
le protuberanze che sporgevano da essa secondo abominevoli
angolature avrebbero deturpato la linea di qualsiasi nave, se ciò non
fosse stato impossibile. Perché le navi vogon erano le uniche
dell’Universo ad avere quelle caratteristiche. Niente era mai stato
visto di più brutto su nessun’altra nave da nessuno.
In effetti, per vedere qualcosa di più brutto dei bubboni di una
nave vogon bisognava andare dentro la nave e guardare un vogon.
Cosa che però una persona saggia eviterà sempre con cura, in quanto
il vogon è uno che non ci pensa due volte prima di farti qualche
orribile e insensato dispetto, tale da indurti a rimpiangere di essere
nato, o (se la tua mente funziona meglio), da indurti a rimpiangere che
sia nato il vogon.
In realtà il vogon medio non ci penserebbe probabilmente neanche
una volta, prima di mettere in atto i suoi odiosi piani. I Vogon sono
creature ottuse, rozze, mentalmente torpide, e riflettere o pensare non
è proprio la cosa a cui sono più predisposte. L’analisi anatomica del
vogon rivela che il suo cervello era in origine un fegato malformato,
male collocato e dispeptico. Il giudizio più esatto che si possa dare su
un vogon è che si tratta di una creatura che sa quello che le piace. E
quello che le piace è fare del male alla gente e arrabbiarsi moltissimo
ogni volta che può.
Quello che non le piace è lasciare un lavoro a metà. In particolare
non piaceva avere lasciato il lavoro a metà – e quel particolare lavoro
– al vogon comandante della nave di cui s’è detto.
Il Comandante era il prostetnico Vogon Jeltz della Commissione
per la Pianificazione dell’Iperspazio Galattico, e il lavoro lasciato a
metà era la demolizione del cosiddetto “pianeta” Terra.
Il prostetnico Jeltz sollevò il suo enorme corpaccio disgustoso,
nella sedia viscida che mal lo accoglieva, e fissò lo schermo del
monitor, su cui appariva l’astronave Cuore d’Oro.
Gli importava molto poco che la Cuore d’Oro, con la sua
Propulsione d’Improbabilità Infinita, fosse la nave più bella e più
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rivoluzionaria che fosse mai stata costruita. L’estetica e la tecnologia
erano libri chiusi per lui, e fosse dipeso da un suo ordine, sarebbero
stati anche libri bruciati e seppelliti.
Ancora meno gli importava che a bordo della Cuore d’Oro ci fosse
Zaphod Beeblebrox. Zaphod adesso era l’ex Presidente della Galassia,
e benché tutta la polizia del cosmo stesse inseguendo lui e l’astronave
che aveva rubato, al vogon questo non interessava affatto.
Aveva ben altra carne al fuoco, lui.
Qualcuno ha detto che i Vogon non sono al di sopra della
corruzione e del peculato allo stesso modo in cui il mare non è al di
sopra delle nubi, e in effetti tale era sicuramente il caso del prostetnico
Jeltz. Quando sentiva le parole “integrità morale” e “rettitudine”
allungava la mano verso il dizionario, e quando sentiva l’odore di
grandi quantità di denaro da guadagnarsi con facilità allungava la
mano verso il regolamento dei comandanti di vascello e lo buttava via.
Perseguendo implacabilmente la distruzione della Terra e di tutto
ciò che si trovava sulla sua superficie, era andato un bel po’ al di là di
quello che sarebbe stato il suo dovere professionale. Anzi c’era chi
metteva perfino in dubbio che la famosa superstrada dovesse essere
costruita sul serio, ma si era cercato di fare in modo che questo
particolare venisse taciuto.
Il prostetnico Jeltz emise un repellente grugnito di soddisfazione.
– Computer – gracchiò – mettimi in contatto con il mio medico del
cervello.
Dopo pochi secondi apparve sullo schermo Gag Halfrunt,
sorridente come poteva sorridere solo chi sapeva di trovarsi a dieci
anni–luce dal vogon. Nel suo sorriso c’era anche, da qualche parte,
una punta di ironia. Benché Jeltz insistesse a chiamare Halfrunt “il
mio medico del cervello”, non c’era nel vogon abbastanza cervello da
attirare le cure di un medico, e in realtà era Halfrunt che si serviva di
lui. Gli pagava un mucchio di quattrini in cambio di lavoretti molto
poco puliti. Gag Halfrunt era uno degli psichiatri più famosi e
apprezzati della Galassia, ed era logico che lui e la Società di
Psicanalisi, cui aderiva con i suoi colleghi, fossero disposti a spendere
un sacco di soldi pur di evitare che l’intero futuro della psichiatria
fosse compromesso.
– Salve – disse – caro Comandante Jeltz, come stanno andando le
cose oggi?
Il prostetnico vogon gli disse che poche ore prima aveva distrutto
quasi metà del suo equipaggio con un esercizio disciplinare.
Il sorriso di Halfrunt rimase perfettamente inalterato.
– Bene – disse lo psichiatra – penso che sia un comportamento del
tutto normale per un vogon, sapete? Gli istinti aggressivi vengono
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incanalati opportunamente e ragionevolmente fino a sfociare in atti di
violenza insensata.
– Questo è quello che dite sempre voi – brontolò il vogon.
– Certo – disse Halfrunt – ed è, questo, un comportamento del
tutto normale per uno psichiatra. Oggi a quanto pare siamo in perfetta
sintonia con la nostra impostazione mentale. Ditemi dunque, che
notizie sulla missione?
– Abbiamo localizzato la nave.
– Magnifico – disse Halfrunt. – Magnifico! E i passeggeri?
– C’è il terrestre.
– Ottimo. E…?
– Una femmina dello stesso pianeta. Sono gli ultimi esemplari.
– Bene, bene – disse Halfrunt, raggiante. – Chi altri?
– Il tizio che si chiama Prefect.
– Poi?
– Poi Zaphod Beeblebrox.
Il sorriso di Halfrunt vacillò per un attimo.
– Ah, sì. Me l’aspettavo. Peccato. Un vero peccato.
– È un vostro amico personale? – s’informò il vogon, che aveva
sentito pronunciare una volta da qualcuno quelle due parole e voleva
vedere se fossero effettivamente giuste.
– Ah, no – disse Halfrunt. – Sapete, noi psichiatri non ci facciamo
mai amici personali.
– Già – grugnì il vogon. – Distacco professionale.
– No – disse allegramente Halfrunt – è che non abbiamo proprio il
dono di farceli.
Tacque un attimo e continuò a sorridere con la bocca, ma non con
gli occhi.
– Sapete – disse – Beeblebrox è uno dei miei migliori clienti. Ha
molti problemi della personalità che superano le aspettative di
qualsiasi analista.
Si trastullò un po’ con quel pensiero prima di abbandonarlo a
malincuore.
– In ogni modo – disse – siete pronto a compiere la vostra
missione?
– Sì.
– Bene. Distruggete immediatamente la Cuore d’Oro.
– E Beeblebrox?
– Be’ – disse allegro Halfrunt – in fondo, Zaphod è solo un cliente.
La faccia dello psichiatra scomparve dallo schermo, e il
prostetnico Jeltz premette il bottone che lo metteva in contatto con
quello che rimaneva dell’equipaggio.
– Attaccate – disse.
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In quel preciso momento, Zaphod Beeblebrox stava imprecando a
voce altissima nella sua cabina. Due ore prima aveva detto che voleva
andare a mangiare un boccone al Ristorante Al termine dell’Universo,
ma poi aveva avuto un litigio furibondo con il computer della nave ed
era corso in cabina urlando che avrebbe calcolato i fattori
d’Improbabilità con una matita e un foglio di carta.
Grazie alla sua Propulsione d’Improbabilità, la Cuore d’Oro era
l’astronave più veloce e imprevedibile che esistesse. Non c’era niente
che non potesse fare, purché si sapesse esattamente il grado di
improbabilità di ciò che si voleva che succedesse.
Zaphod l’aveva rubata nel momento in cui, nella sua qualità di
Presidente della Galassia, avrebbe dovuto presenziare alla sua
inaugurazione. Non sapeva bene perché l’avesse rubata; l’unica cosa
che sapeva era che, come nave, gli piaceva.
Non sapeva nemmeno perché fosse diventato Presidente della
Galassia; l’unica ragione plausibile era che l’aveva trovata un’idea
divertente.
Sapeva in realtà che dovevano esserci motivi migliori di quelli, ma
sapeva anche che erano sepolti in una regione oscura ed
ermeticamente chiusa dei suoi due cervelli. Avrebbe voluto che la
regione oscura ed ermeticamente chiusa se ne fosse andata a quel
paese, perché ogni tanto i motivi veri affioravano temporaneamente e
introducevano strani pensieri nelle zone fatue e frivole della sua
mente, sicché lui si sentiva stornare in parte da quello che riteneva il
succo dell’esistenza: il divertimento.
In quel momento Zaphod non si stava divertendo affatto. Aveva
esaurito la pazienza e le matite, e non ne poteva più dalla fame.
– Per tutte le sifilidi stellari! – urlò.
In quel preciso momento Ford Prefect si trovava a mezz’aria. Non
perché il campo gravitazionale artificiale della nave non funzionasse,
ma perché stava saltando giù dalla scala che portava alle cabine
private. Era un salto molto alto da fare tutt’in una volta e Ford atterrò
male, finendo carponi. Si rialzò, corse lungo il corridoio mandando a
gambe all’aria due robo–camerieri in miniatura, girò velocemente
l’angolo, si precipitò nella cabina di Zaphod e spiegò con una sola
parola che cosa lo preoccupasse.
– Vogon – disse.
Poco prima che succedesse questo, Arthur Dent era uscito dalla
sua cabina per vedere di trovare una buona tazza di tè. Era una ricerca
in cui si era imbarcato senza troppo ottimismo, perché sapeva che
l’unica fonte di bevande calde dell’intera nave era un aggeggio
antiquato prodotto dalla Società Cibernetica Sirio. L’aggeggio si
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chiamava Macchina Nutrimatica Sintetizzatrice di Bevande, e Arthur
ci aveva avuto a che fare già altre volte.
Era stata studiata per produrre il maggior numero di bevande
possibile adattandole ai gusti personali e al metabolismo del fruitore,
ma in realtà serviva sempre e soltanto una tazza di liquido che, anche
se non proprio del tutto, era quasi completamente diverso dal tè.
Arthur tentò di ragionare con la Nutrimatica.
– Vorrei del vero tè – disse.
Gusta e Bevi Con rispose la macchina, servendogli un’altra tazza
di liquido disgustoso.
Arthur la buttò via.
Gusta e Bevi Con ripeté la macchina, e gli servì un’altra tazza.
Gusta e Bevi Con è lo slogan del Reparto Reclami della Società
Cibernetica Sirio, che ha registrato un tale successo da arrivare a
coprire le maggiori masse continentali di tre pianeti di media
grandezza e da risultare negli ultimi anni l’unico settore in attivo della
Società.
Lo slogan, in caratteri luminosi alti cinque chilometri,
campeggiava accanto allo spazioporto del Reparto Reclami, su
Eadrax. Purtroppo il peso delle lettere era tale che, poco dopo che
furono installate, il terreno sottostante cedette, ed esse finirono per un
tratto di due chilometri e mezzo negli uffici di giovani ed efficienti
funzionari del Reparto Reclami, che rimasero uccisi.
La metà superiore delle lettere non è più illuminata, adesso, tranne
che in occasione di particolari feste; sembra poi che nel linguaggio
della popolazione locale la semiscritta debba leggersi come “Ficcati la
testa su per il muro”.
Arthur buttò via la sesta tazza di liquido repellente.
– Senti un po’, macchina del cavolo – disse – perché sostieni di
potere sintetizzare qualsiasi bevanda esistente, se non sei capace che
di servirmi sempre la stessa porcheria imbevibile?
Dai dati di senso risulta nutritiva e gradevole gorgogliò la
macchina. – Gusta e Bevi Con.
Ma ha un sapore schifoso!
Se hai gustato questa bevanda continuò la macchina, perché non
la bevi con gli amici?
Perché – disse aspro Arthur – non voglio perderli. Vuoi cercare
di capire quello che ti sto dicendo? Quel liquido…
Quel liquido replicò in tono dolce la macchina, è stato preparato
in modo da soddisfare i tuoi gusti personali e le tue personali esigenze
nutritive.
Ah – disse Arthur. – Così io sarei un masochista, eh?
Gusta e Bevi Con.
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– Oh, piantala!
È tutto?
Arthur decise di rinunciare.
– Sì – disse.
Poi però decise che non avrebbe rinunciato neanche morto.
– No – disse. – Senti, è semplice, semplicissimo. Tutto quello che
voglio è una tazza di tè. E tu me ne preparerai una. Adesso stai buona
e ascoltami.
Si sedette e raccontò alla Nutrimatica dell’India, della Cina e di
Ceylon. Le parlò di grandi foglie che si essiccavano al sole, di teiere
d’argento, di pomeriggi d’estate passati sui prati, e di come si dovesse
mettere il latte prima del tè nella tazza, in modo da non farlo scaldare
troppo. Le raccontò perfino (brevemente) la storia della Compagnia
delle Indie.
Ah, è dunque questo che vuoi? disse la Nutrimatica quando lui
ebbe finito.
– Sì – disse Arthur – è questo che voglio.
Vuoi sentire il sapore delle foglie secche bollite in acqua?
Ehm, sì. Con latte.
Munto da una mucca?
Be’, in un certo senso immagino di sì…
Avrò bisogno di aiuto, in questa faccenda, disse la macchina,
decisa. I suoi gorgoglii entusiasti erano scomparsi, rimpiazzati da un
tono professionale.
– Tutto quello che posso fare, io lo faccio volentieri – disse Arthur.
Hai già fatto abbastanza lo informò la Nutrimatica, e chiamò il
computer della nave.
Ehilà, salve! disse quello.
La Nutrimatica gli spiegò tutto sul tè. Il computer trasalì, collegò
con lei i circuiti logici, e insieme sprofondarono in un cupo silenzio.
Arthur rimase a guardare e aspettare per un po’, ma non successe
niente.
Batté un pugno sulla Nutrimatica, invano. Decise allora di lasciar
perdere e si avviò verso il ponte.
Nella vuota desolazione dello spazio la Cuore d’Oro stava sospesa
immobile. Intorno all’astronave brillavano i puntolini scintillanti delle
stelle. E contro di lei muoveva l’orrida nave vogon, con i suoi osceni
bubboni gialli.
摘要:

DouglasAdamsRISTORANTEALTERMINEDELL’UNIVERSO(TheRestaurantattheEndoftheUniverse)©1980DouglasAdams©1984ArnoldoMondadoriEditoreS.p.A.,MilanoTraduzionediLauraSerraURANIAn.968–15aprile198431Ilsuccodellastoriafinqui.Alprincipiofucreatol’Universo.Questofattohasconcertatononpochepersoneedèstatoconsideratod...

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