Asimov, Isaac - Cronache Della Galassia (Txt)

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Isaac Asimov.
CRONACHE DELLA GALASSIA.
Traduzione di Cesare Scaglia.
Introduzione di Fruttero & Lucentini.
Copyright 1952 by Isaac Asimov.
Copyright 1963 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano.
Titolo dell'opera originale: "Foundation".
Prima edizione Urania settembre 1963.
Prima edizione Oscar Mondadori settembre 1971.
Quarta ristampa Oscar Mondadori marzo 1978.
Su concessione Arnoldo Mondadori Editore.
INDICE.
Introduzione: pagina 3.
Parte prima: pagina 6.
Parte seconda: pagina 59.
Parte terza: pagina 117.
Parte quarta: pagina 198.
Parte quinta: pagina 231.
INTRODUZIONE.
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La "Trilogia Galattica" di Isaac Asimov è il "ciclo" fantascientifico
più famoso e più venduto del mondo. I tre volumi, usciti per la prima
volta rispettivamente nel 1951, 1952 e 1953, sono stati da allora
ristampati innumerevoli volte in America, in edizioni sia economiche
sia rilegate, e tradotti in una ventina di lingue.
Eppure, se si confronta quest'opera così fortunata con altre grandi
saghe spaziali, essa appare a prima vista assai meno ricca, e quasi
incurante di quegli ingredienti tradizionalmente ritenuti capaci di
attirare il lettore di fantascienza. L'infinita e paradossale varietà
del cosmo è qui appena sfruttata, paura, orrore e meraviglia davanti
all'ignoto non hanno parte nella composizione, armi, macchine, animali
impensabili restano tra le quinte. Le impennate dell'immaginazione
avveniristica sono ridotte al minimo, né l'estrapolazione sociologica
si presenta dettagliata, realistica come in altri "futuribili" dello
stesso Asimov. Perfino il ritmo della narrazione non ha quella
concitata, incalzante rapidità che si accompagna di solito alle
avventure tra le stelle.
Dov'è allora il fascino di questo immenso affresco galattico, che cosa
lo rende così irresistibilmente leggibili?
Anzitutto, proprio la sua immensità, o meglio, l'impressione
d'immensità che riesce a suscitare. L'andamento ponderoso dei periodi,
la pacatezza, non priva di solennità, dei dialoghi, il maestoso
orbitare dell'intreccio, creano un indefinibile, suggestionante
effetto di "dilatazione", una specie di sterminato, brulicante sfondo
verbale (o musicale) nel quale il lettore si lascia pian piano
irretire, senza ritorno.
Come tutti i veri libri, la "Trilogia" punta più sull'evocativo che
sul descrittivo, e la Galassia che ne è protagonista risulta infine
credibile e grandiosa proprio perché Asimov, da quel vero scrittore
che è, evita di prenderla di petto e si adopera per farla
costantemente balenare tra le righe.
Stabilito il tono (l'unico possibile) per trattare una materia fredda
e remota per definizione, costruita una cassa di risonanza piena
d'incalcolabili, misteriosi echi siderali, Asimov mette in moto la sua
vasta trama, ispiratagli, come egli stesso ammette, dalla "Decadenza e
caduta dell'Impero Romano", di Gibbon.
Poiché la fantascienza è in fin dei conti una letteratura
d'intrattenimento popolare, i colpi di scena, i segreti, le
motivazioni, gli equivoci, i sentimenti che fanno parte del classico
armamentario romanzesco sono qui utilizzati a piene mani, e con
notevole maestria e tempestività, per movimentare il tramonto del
primo impero galattico e la nascita del secondo. Tuttavia, non c'è
dubbio che la ragione fondamentale del successo della "Trilogia" sta
nel fatto che si tratta di un libro di storia.
Chi vi si addentra, può non conoscere Gibbon, Toynbee o Marx, ma la
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sua reazione sarà certamente quella dell'amatore di storia che si
aspetta dallo "specialista" un racconto e insieme una spiegazione del
racconto: lieto abbandono al possente fiume degli avvenimenti,
ammirata gratitudine per l'autore che ha capito tutto e ci conduce con
mano esperta nel labirinto, piacere per ogni nuovo groviglio che si
forma dopo lo scioglimento del precedente, assoluta fiducia nella
plausibilità delle connessioni, delle corrispondenze, degli incastri.
E a libro chiuso, la più difficile delle domande. E' questo ramificato
e stupendo "sistema" romanzesco a dovere tutto agli scrittori di
storia, o non saranno invece questi, con le loro ben congegnate
fabbricazioni, a dovere tutto all'arte dei romanzieri?
Fruttero & Lucentini.
Parte prima.
1.
Hari Seldon... nato nell'anno 11.988 dell'Era Galattica morto nel
12.069. Nell'attuale calendario dell'Era della Fondazione queste date
corrispondono agli anni meno 79 e primo. Figlio di genitori della
media borghesia di Helicon, nella regione di Arcturus (dove suo padre
era coltivatore di tabacco nelle piantagioni idroponiche del pianeta),
Seldon aveva rivelato, fin dalla prima giovinezza, una spiccata
attitudine alle scienze matematiche. Gli aneddoti riguardanti questa
sua qualità sono innumerevoli. Si dice che all'età di due anni...
La psicostoriografia fu senza dubbio la scienza alla quale portò il
maggior contributo. Seldon ne approfondì lo studio ricavando da una
raccolta di pochi assiomi una profonda scienza statistica...
... Il documento più importante che possediamo sulle vicende della sua
vita è una biografia scritta da Gaal Dornick il quale, in gioventù,
aveva conosciuto il grande matematico due anni prima che questi
morisse. La storia del loro incontro...
ENCICLOPEDIA GALATTICA (Tutte le note qui riportate sono tolte - per
gentile concessione dell'editore - dall'"Enciclopedia Galattica", CXVI
edizione, pubblicata nel 1020 E. F. dagli Editori Enciclopedia
Galattica, Terminus.)
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Si chiamava Gaal Dornick ed era un semplice ragazzo di campagna che
non era mai stato prima d'allora a Trantor. Conosceva però il panorama
di questa città per averlo osservato sullo schermo dell'ipervideo e
sugli enormi trasmettitori tridimensionali che diffondevano le notizie
dell'Incoronazione Imperiale e dell'apertura del Consiglio Galattico.
Pur essendo vissuto sempre nel mondo di Synnax, che ruotava intorno a
una stella ai margini della Corrente Azzurra, il ragazzo non era
affatto tagliato fuori dalla Civiltà. A quel tempo nessuno nella
Galassia lo era. I pianeti abitati della Galassia erano venticinque
milioni e tutti facevano parte dell'Impero, la capitale del quale era
Trantor. Quella situazione però sarebbe durata solo per altri
cinquant'anni.
Per Gaal, questo viaggio rappresentava la più importante esperienza
della sua vita di studente. Altre volte aveva viaggiato nello spazio
e, di per se stessa, l'avventura spaziale significava ben poco.
In verità prima d'allora non era mai andato oltre l'unico satellite
ruotante intorno a Synnax per raccogliere dati sul movimento delle
meteore che gli servivano a completare la sua tesi; ma i viaggi
spaziali si somigliavano tutti sia che ci s'allontanasse di poche
centinaia di migliaia di chilometri, sia che il percorso fosse di
molti anni luce.
Lo emozionava un poco il Gran Salto attraverso l'iperspazio, un
fenomeno che non si sperimentava nei normali trasferimenti
interplanetari. Il Gran Salto era l'unico metodo pratico, e
probabilmente rimarrà sempre tale, per superare le distanze fra stella
e stella. La normale velocità interplanetaria, secondo una teoria
scientifica che è fra le poche leggi che ci siano state tramandate
dagli albori della storia umana, non poteva esser maggiore di quella
della luce. Questo significava anni di viaggio anche tra i più vicini
sistemi solari abitati. Ma attraverso l'iperspazio - l'inimmaginabile
zona che non è spazio né tempo, né sostanza né energia, né qualcosa né
nulla - si poteva superare una distanza pari all'estensione
dell'intera Galassia nel volger d'un istante.
Gaal aveva atteso la prima esperienza del Gran Salto con un nodo allo
stomaco: ma era rimasto deluso. Tutto era finito con una piccola
scossa interna che cessò un attimo prima che egli potesse rendersi
conto di averla avvertita. Nient'altro.
Dopo, ci fu solo l'astronave, enorme, lucente, il perfetto risultato
di dodicimila anni di progresso imperiale; e dentro c'era lui, con la
sua laurea in matematica da poco ottenuta e con l'invito, da parte del
grande Hari Seldon, di recarsi a Trantor per collaborare al
gigantesco, e in un certo senso misterioso, progetto Seldon.
Ciò che Gaal stava aspettando, dopo la delusione provata per il Gran
Salto, era la prima apparizione di Trantor. Andò nella sala della
cupola panoramica. Gli schermi esterni di metallo venivano sollevati a
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intervalli di tempo stabiliti e lui stava sempre lì a osservare la
luce abbagliante delle stelle e l'opaca luminosità delle costellazioni
lontane che sembravano un gigantesco sciame di lucciole fermate in
pieno volo e immobilizzate per sempre. A un certo punto della
traversata apparve anche il fumo color bianco-azzurro freddo di una
nebulosa di gas, distante cinque anni luce dall'astronave. Si
allargava come una macchia di latte, inondando la cupola di un
riflesso glaciale. Scomparve due ore dopo, al secondo Gran Salto
dell'astronave.
La prima immagine del sole di Trantor fu quella di una brillante
scintilla bianca perduta in una miriade di luci della stessa
intensità, e riconoscibile solo perché era indicata nelle carte di
rotta a disposizione dei passeggeri. Le stelle erano più ammassate al
centro della Galassia. Ma dopo ogni Gran Salto, il sole di Trantor
appariva più luminoso, mentre la luce delle altre stelle si offuscava
e quindi scompariva.
Un ufficiale entrò nella stanza e comunicò: - La cupola panoramica
rimarrà chiusa per il resto del viaggio. Preparatevi all'atterraggio.
Gaal, che aveva seguito l'ufficiale, gli toccò la manica dell'uniforme
bianca decorata dal simbolo imperiale. Sole e Astronave.
Chiese: - Potrei rimanere qui? Vorrei vedere Trantor.
L'ufficiale gli sorrise e Gaal arrossì leggermente. S'era accorto
d'aver parlato con un accento provinciale.
- Atterreremo su Trantor in mattinata - rispose l'ufficiale.
- Volevo dire che mi sarebbe piaciuto vederla dallo spazio.
- Mi dispiace, ragazzo mio. Se questa fosse un'astronave da turismo,
forse sarebbe stato possibile. Ma ora stiamo entrando in orbita dalla
parte del sole. Non vorrai rimanere accecato, bruciarti, e
contaminarti con le radiazioni?
Gaal fece per allontanarsi e l'ufficiale lo richiamò: - Ehi, ragazzo!
Il pianeta ti apparirebbe in ogni caso soltanto come una massa grigia
e offuscata. Perché non compri il biglietto per un giro spaziale
intorno a Trantor quando atterriamo? Non costa molto.
Gaal si voltò: - Grazie molte.
Era infantile prendersela per così poco, ma non aveva mai visto
Trantor distendersi in tutta la sua incredibile vastità, grande come
la vita, e non si era aspettato di dover attendere ancora.
2.
L'astronave atterrò in un turbinìo di rumori diversi: il sibilo
lontano dell'atmosfera che si lacerava scivolando ai lati dello scafo
metallico, il ronzìo del condizionatore d'aria che manteneva la
temperatura interna costante malgrado il calore sviluppato
dall'attrito e il rombo cupo dei motori che frenavano la caduta
libera.
Poi ci fu il brusio di uomini e donne che si accalcavano per lo sbarco
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e il rumore dei montacarichi che si spostavano lungo tutta la nave,
sollevando bagagli e posta verso la piattaforma dalla quale sarebbero
stati poi scaricati.
Gaal avvertì il lieve sussulto che indicava l'arresto totale. Da ore
la gravità artificiale della nave era stata annullata e sostituita
dalla forza di attrazione del pianeta. Migliaia di passeggeri erano
rimasti pazientemente seduti nelle piattaforme di sbarco che
ondeggiavano per orientarsi secondo la direzione della forza
gravitazionale. Ora si affrettavano giù per le rampe ricurve per
scendere a terra.
Gaal si avvicinò a uno degli sportelli, dove il suo bagaglio,
ridottissimo, fu rapidamente aperto, ispezionato e richiuso. Il
passaporto venne controllato e bollato. Gaal non badò a quelle
operazioni formali.
Questa dunque era Trantor! L'aria sembrava un po' più densa e la
gravità leggermente maggiore che non su Synnax, il suo pianeta natale,
ma ci si sarebbe abituato. Si chiese se si sarebbe mai abituato anche
a quella immensità.
L'edificio dell'astroporto era colossale. Il soffitto quasi non si
vedeva, e Gaal pensò che là sotto si potevano formare le nubi. Non si
vedevano le mura perimetrali, ma solo uomini e sportelli e piani
sovrapposti che scomparivano lontano, nella foschia.
L'uomo seduto dietro lo sportello parlò nuovamente. La sua voce
sembrava seccata. Disse: - Avanti, per favore Dornick. - Aveva dovuto
riaprire il documento e guardarlo perché non ricordava il nome.
Gaal domandò: - Dove... Dove...?
L'uomo allo sportello indicò con il pollice. Per i taxi, a destra e
poi la terza a sinistra.
Avviatosi da quella parte, Gaal vide una scritta luminosa sospesa in
alto, nel nulla, e lesse: TAXI PER TUTTE LE DESTINAZIONI.
Una figura emerse dalla massa dei volti anonimi e andò allo sportello
che Gaal aveva appena lasciato. L'impiegato levò gli occhi e fece un
gesto d'assenso. Anche l'altro annuì e seguì il giovane emigrante.
Arrivò in tempo per udire dove si dirigeva Gaal.
Gaal si trovò la strada sbarrata da una ringhiera.
Un altro piccolo cartello indicava l'ufficio informazioni.
L'uomo cui la scritta si riferiva non sollevò nemmeno gli occhi dal
tavolo. Disse: - Dove volete andare?
Ma Gaal non fu pronto nella risposta e quei pochi istanti di
esitazione bastarono perché dietro di lui si formasse una fila.
L'impiegato dell'ufficio informazioni alzò gli occhi: - Dove volete
andare?
Le risorse finanziarie di Gaal erano piuttosto scarse, ma sarebbe
stato solo per una notte; poi avrebbe avuto un lavoro. Cercò di
sembrare naturale: - Un buon albergo, per favore.
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L'addetto allo sportello rimase indifferente: - Sono tutti ottimi.
Quale preferite?
Gaal si guardò in giro disperato. - Il più vicino, per favore.
L'uomo schiacciò un pulsante. Una sottile striscia luminosa si formò
sul pavimento, aggrovigliandosi ad altre di differenti colori e
gradazioni. Venne consegnato a Gaal un tagliando. Anche questo era
luminescente.
L'impiegato disse: - Uno e dodici.
Gaal si frugò in tasca per trovare le monete. - Da che parte devo
andare?
- Seguite la luce. Il biglietto rimarrà luminoso se manterrete la
giusta direzione.
Gaal osservò il tagliando e cominciò a camminare. C'erano centinaia di
persone che a testa bassa attraversavano la sala, ciascuna seguendo la
propria pista, ondeggiando e fermandosi ai punti di intersezione.
La sua traccia cessò. Un uomo in splendente uniforme gialla e blu di
fibra plasto-tessile antimacchia, si chinò a raccogliere le sue
valigie.
- Linea diretta per il Luxor - disse.
Lo sconosciuto che seguiva Gaal sentì questa frase. Udì anche Gaal
rispondere: - Bene - e lo osservò mentre saliva sul veicolo dal muso
schiacciato.
Il taxi si levò in alto immediatamente. Gaal guardò fuori dai
finestrini curvi e trasparenti, assaporando la sensazione di volo
entro quella piccola struttura chiusa e rannicchiandosi istintivamente
dietro le spalle del guidatore. Il panorama sotto di lui sembrò
restringersi, le persone avevano adesso l'aspetto di formiche
sparpagliate e frettolose. Rimpicciolirono sempre di più e scivolarono
via alle sue spalle.
Di fronte a loro apparve un muro. Cominciava in aria e si estendeva in
alto a perdita d'occhio. Era forato da gallerie che lo attraversavano
in tutta la sua larghezza. Il taxi di Gaal diresse la prua verso uno
di questi tunnel e vi si tuffò. Gaal non riuscì a capire come
l'autista avesse potuto riconoscere il passaggio giusto in mezzo a
tanti delle medesime dimensioni.
Il buio era assoluto. Nessuna luce, tranne quella intermittente di
segnali luminosi, rischiarava l'oscurità. L'aria era piena di rumori
confusi.
Gaal venne spinto in avanti da un'improvvisa decelerazione del veicolo
che uscì dalla galleria e scese al suolo.
- Hotel Luxor - comunicò il tassista. Aiutò Gaal a scaricare i
bagagli, accettò la mancia del dieci per cento con espressione
professionale, raccolse un passeggero che aspettava e si levò
nuovamente in aria.
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3.
TRANTOR... Questa capitale raggiunse il massimo sviluppo all'inizio
del tredicesimo millennio. Centro del Governo Imperiale per centinaia
di generazioni, situata nella regione centrale della Galassia tra i
pianeti più popolati e progrediti del sistema, era naturalmente
destinata a diventare l'agglomerato urbano più abitato e ricco che la
razza umana avesse mai visto.
La sua urbanizzazione, con un incremento costante, aveva infine
raggiunto il limite massimo. L'intera superficie del pianeta, 75
milioni di miglia quadrate, era diventata un'unica città. La
popolazione aveva raggiunto i quaranta miliardi di abitanti.
Questa folla sterminata lavorava quasi tutta negli uffici
amministrativi dell'Impero e non era certo eccessiva per il difficile
compito da svolgere. (Si deve ricordare a questo punto che
l'amministrazione inefficiente dell'Impero Galattico fu un fattore
determinante della Caduta sotto la guida poco illuminata degli ultimi
Imperatori.) Ogni giorno, flotte di decine di migliaia di astronavi
recavano i prodotti agricoli di venti pianeti alle mense dei cittadini
di Trantor... Trantor, dato che dipendeva da altri mondi per il
rifornimento di cibo e per tutte le altre necessità della vita
quotidiana, era estremamente vulnerabile alla conquista per assedio.
Nell'ultimo millennio dell'Impero, le continue rivolte resero gli
Imperatori perfettamente consci di questa debolezza, e tutta la loro
politica finì per consistere soltanto nella protezione della delicata
vena jugulare di Trantor...
ENCICLOPEDIA GALATTICA.
Gaal non sapeva se era giorno o notte. E si vergognava a chiederlo.
Tutto il pianeta sembrava vivere sotto il metallo. Gli avevano detto
che il pasto appena consumato era il pranzo, ma in molti pianeti si
viveva secondo una tabella oraria convenzionale che non teneva affatto
conto dell'alternarsi del giorno e della notte. Il tempo di rotazione
dei pianeti era diverso uno dall'altro e lui non conosceva quello di
Trantor.
In un primo momento aveva seguito con entusiasmo la freccia che
indicava l'ubicazione della «Stanza solare», ma aveva scoperto, che si
trattava di un ambiente dove venivano diffuse radiazioni artificiali.
Indugiò nel locale per un paio di minuti, poi ritornò nella hall
dell'albergo.
Si rivolse al portiere. - Dove potrei comperare un biglietto per un
giro del pianeta?
- Qui signore.
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- Quando parte?
- Ne è appena partito uno. Ce n'è un altro domani. Comprate ora il
biglietto, così vi prenoterò un buon posto.
Domani sarebbe stato troppo tardi. Avrebbe dovuto trovarsi
all'Università. Chiese: - C'è una torre d'osservazione... o qualcosa
del genere? Voglio dire: all'aria aperta.
- Certamente! Vi posso vendere il biglietto, se lo desiderate. Ma
aspettate che controllo se per caso sta piovendo. - Chiuse un contatto
sulla scrivania e lesse le lettere che apparvero su uno schermo. Gaal
lesse con lui.
Il portiere disse: - Tempo ottimo. Adesso che ci penso, dovremmo
essere nella stagione secca. - Poi aggiunse confidenzialmente: - Non è
che ci tenga molto, io, all'esterno. Sono passati tre anni dall'ultima
volta che sono andato all'aperto. Dopo che si è osservato il panorama
una volta, si sa già tutto e non c'è altro da vedere. Ma ecco il
vostro biglietto. L'ascensore speciale è nel retro. Porta il cartello
«Alla torre». Salite pure.
L'ascensore era del nuovo tipo che funzionava a repulsione di gravità.
Gaal entrò e altri lo seguirono. L'operatore diede contatto. Per un
momento Gaal si sentì sospeso nell'aria, mentre la gravità scendeva a
zero, poi sentì ritornare il peso a mano a mano che l'ascensore
accelerava verso l'alto. Seguì la decelerazione e i suoi piedi si
sollevarono dal pavimento. Lanciò un grido.
L'operatore si rivolse a lui: - Perché non avete infilato i piedi
sotto le sbarrette? Non sapete leggere la scritta?
Tutti gli altri avevano seguito le istruzioni. E sorrisero di lui che
con gesti convulsi cercava invano di ritornare al suolo. Le loro
scarpe erano premute contro le sbarrette metalliche al suolo a
distanza di sessanta centimetri l'una dall'altra. Gaal le aveva notate
entrando ma distrattamente.
Poi una mano lo afferrò e lo tirò giù. Gaal stava balbettando un
ringraziamento quando l'ascensore si fermò.
Uscirono sulla terrazza inondata dal sole. Il riverbero gli fece male
agli occhi. L'uomo che l'aveva aiutato a scendere dall'incomoda
posizione era proprio dietro di lui e gli rivolse gentilmente la
parola: - Ci sono molte panchine.
Gaal ansimava ancora. Quando riuscì a dominare il respiro disse: - Sì,
sì, vedo. - Si avviò automaticamente verso i sedili, poi si fermò.
- Se non vi dispiace - continuò - vorrei andare alla ringhiera e
guardarmi un po' intorno.
L'uomo si congedò con un gesto amichevole di saluto; Gaal si affacciò
alla ringhiera che gli arrivava alle spalle e si abbandonò nella
contemplazione del panorama.
Non poteva vedere il suolo. Era invisibile, nascosto dalle complesse
strutture create dall'uomo. All'orizzonte non poteva osservare altro
all'infuori del metallo che si estendeva in un grigio uniforme contro
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il cielo. Sapeva che era così dappertutto sulla superficie del
pianeta. Non vedeva alcun segno di movimento - solo pochi aerei
privati giravano pigramente nel cielo - ma sapeva che al disotto della
crosta metallica fremeva ininterrotto il traffico intenso di miliardi
di uomini.
Non c'erano zone verdi; né piante, né suolo, né altra forma di vita
all'infuori di quella umana. In qualche luogo, in quel mondo, pensò
Gaal, sorgeva il palazzo imperiale, costruito in mezzo a centinaia di
chilometri quadrati di terreno, fra alberi e prati cosparsi di fiori.
Era una piccola isola in mezzo a un oceano di metallo, ma non era
visibile dal suo posto di osservazione. Poteva anche essere a
diecimila chilometri di distanza. Non lo sapeva.
Doveva proprio fare al più presto un giro intorno al pianeta!
Espresse i suoi sentimenti ad alta voce. Si era reso conto d'essere
finalmente a Trantor: il pianeta che era il centro di tutta la
Galassia, il perno vitale della razza umana. Non ne vide le debolezze.
Non capiva quanto fragile fosse la vena che collegava i quaranta
miliardi di abitanti di Trantor con il resto della Galassia. Era
conscio solamente del maestoso obiettivo raggiunto dall'uomo:
l'assoluta conquista finale di un mondo.
Si allontanò con gli occhi quasi abbagliati. L'amico dell'ascensore
gli stava indicando un sedile accanto al suo e Gaal vi si accomodò.
L'uomo gli sorrise: - Mi chiamo Jerril. E' la prima volta che venite a
Trantor?
- Sì, signore.
- L'ho immaginato. Ma chiamatemi Jerril. Trantor è certamente
affascinante per uno che abbia sensibilità poetica. I trantoriani non
salgono mai quassù. A loro non piace. Diventano nervosi.
- Nervosi! A proposito, io mi chiamo Gaal. Perché dovrebbero sentirsi
nervosi uscendo all'aperto? E' magnifico quassù.
- E' un'opinione del tutto soggettiva, Gaal. Se uno è nato in un
cunicolo, è cresciuto in un corridoio, lavora in una cella e va in
vacanza in una stanza affollata, al sole artificiale, è comprensibile
che gli venga un esaurimento nervoso quando sale all'aperto dove non
c'è altro che il cielo sopra di lui. Mandano i bambini qui sopra una
volta all'anno, dopo che hanno compiuto cinque anni. Non so se questo
faccia loro bene. Non hanno il tempo di abituarsi; le prime volte
urlano come isterici. Dovrebbero incominciare appena nati e tornare
una volta alla settimana.
Continuò: - Certo questo non ha poi tanta importanza. Che cosa
perderebbero se non salissero mai alla superficie? Sono felici là
sotto e mandano avanti l'Impero. Quanto credete sia alta questa torre?
- Ottocento metri - rispose Gaal e pensò di aver detto una
stupidaggine.
Doveva essere proprio così, perché Jerril lo guardò sorpreso.
- No, no, è alta appena centocinquanta metri.
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摘要:

file:///C|/Documents%20and%20Settings/Massy/Documenti/Download...0Asimov,%20Isaac%20-%20Cronache%20della%20Galassia%20(TXT).txtIsaacAsimov.CRONACHEDELLAGALASSIA.TraduzionediCesareScaglia.IntroduzionediFruttero&Lucentini.Copyright1952byIsaacAsimov.Copyright1963ArnoldoMondadoriEditoreS.p.A.,Milano.Ti...

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Asimov, Isaac - Cronache Della Galassia (Txt).pdf

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