Clive Cussler - Missione Eagle

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CLIVE CUSSLER
MISSIONE EAGLE
(Deep Six, 1984)
Al Tubby's Bar & Grill ad Alhambra,
al Rand's Roundup sul Wilshire Boulevard,
al Black Knight in Costa Mesa,
e al Shanner's Bar di Denver.
Ormai chiusi ma non dimenticati
PROLOGO
LA SAN MARINO
15 luglio 1966
Oceano Pacifico
Facendosi schermo con una mano dal fulgore del sole, la ragazza fissò
gli occhi nocciola sullo spettacolo della procellaria che planava elegante-
mente nella scia del bastimento, volteggiando sopra il picco di carico pop-
piero. Ammaliata, rimase diversi minuti a contemplare l'ineguagliabile
grazia con cui l'uccello marino si librava in volo, finché, con moto subita-
neo d'impazienza, non si drizzò a sedere sulla malandata sedia a sdraio,
consunta dalla salsedine, e sulla schiena abbronzata apparvero i segni ros-
si, distanziati a intervalli regolari, impressi dalle stecche dello schienale.
Si guardò intorno, ma del personale addetto al ponte di coperta neanche
l'ombra, perciò ne approfittò per riassettarsi pudicamente il reggiseno a
balconcino del succinto bikini e mettersi così più a suo agio.
La sua pelle scottava per la lunga esposizione al sole, e lei si passò una
mano sul ventre piatto per asciugare l'eccesso di traspirazione provocato
dall'aria umida dei tropici. Sentendosi così più distesa e rilassata, tornò a
adagiarsi sulla sdraio, lasciandosi cullare dal vibrante brontolio dei motori
della vecchia nave da carico, e rosolandosi, mezza assopita, sotto il sole
ardente.
Finalmente la paura che l'attanagliava quando era salita a bordo era
scomparsa. Non trascorreva più notti insonni, destata dal martellare del suo
cuore, e non scrutava più l'espressione degli uomini dell'equipaggio per
scoprire se sospettassero qualcosa, paventando, di ora in ora, di minuto in
minuto, che il comandante, accigliato, venisse ad annunciarle che era agli
arresti. Ormai era riuscita a rimuovere quasi del tutto il rimorso per il reato
commesso, e cominciava a pensare esclusivamente al futuro. Con sollievo,
aveva constatato che anche il senso di colpa è destinato a dissolversi, con il
tempo.
Con la coda dell'occhio, colse il bianco della giacca del cameriere di
bordo, un orientale, che avanzava lungo il corridoio di accesso alle cabine.
L'uomo le si avvicinò con aria esitante, gli occhi bassi, come se fosse in
grave imbarazzo al cospetto del corpo di lei quasi nudo.
«Mi perdoni, signorina Wallace», disse con fare cerimonioso. «Il co-
mandante Masters le chiede l'onore di averla gradita ospite a cena, stasera,
alla mensa ufficiali, sempre che ora lei si senta un po' meglio.»
Estelle Wallace, sentendosi arrossire, si disse che per fortuna l'abbronza-
tura poteva mascherare quella sua reazione incontrollata. Fin dal primo
momento in cui era salita a bordo, a San Francisco, aveva finto un grave
malessere e si era sempre fatta servire i pasti in cabina per evitare qualsiasi
conversazione con gli ufficiali della nave. Ormai però era stufa di fare la
reclusa, e inoltre era giunto il momento di collaudare la sua nuova identità.
«Dica al comandante Masters che sto molto meglio, e che accetto con pia-
cere il suo invito.»
«Ne sarà molto felice», disse il cameriere, facendo un largo sorriso che
scoprì un varco tra gli incisivi superiori. «Dirò al cuoco di preparare qual-
cosa di speciale per l'occasione.»
Congedandosi, l'uomo si allontanò a piccoli passi, con un modo di fare
che a Estelle parve fin troppo ossequioso, perfino da parte di un orientale.
Sicura di aver preso la giusta decisione, contemplò pigramente le sovra-
strutture a centro nave della San Marino, tre piani di coperta sovrapposti. Il
cielo era eccezionalmente terso e azzurro al di sopra dell'unico fumaiolo da
cui saliva a spirale un fumo denso e nero, che creava un netto contrasto
con la vernice bianca scrostata delle paratie.
«È una nave molto solida», si era vantato il comandante la prima volta
che l'aveva accompagnata alla sua cabina, cercando di rassicurarla con la
descrizione della struttura dello scafo e dei vari usi cui era stato destinato il
mercantile fino a quel momento, come se Estelle fosse una fanciulla spau-
rita alla sua prima gita in canoa lungo le rapide.
Varata nel 1943 in conformità alle caratteristiche delle navi tipo Liberty,
la San Marino aveva trasportato i rifornimenti per le truppe alleate attra-
verso l'Atlantico, dall'America fino in Inghilterra, facendo il viaggio di an-
data e ritorno per ben sedici volte. Un giorno, finita fuori del convoglio,
era stata centrata da un siluro, ma non era andata a fondo, era anzi riuscita
a raggiungere Liverpool senza chiedere aiuto.
Dalla fine della guerra in poi, aveva solcato gli oceani battendo bandiera
panamense, come una delle trenta navi mercantili di proprietà della Manx
Steamship Company di New York, svolgendo regolari servizi di linea su
rotte secondarie. Misurava centotrentaquattro metri di lunghezza fuori tut-
to, aveva una prua quasi verticale e la poppa affusolata come quella di un
cruiser, e ciò le consentiva di arrancare attraverso le lunghe onde del Pa-
cifico alla rispettabile velocità di undici nodi. La nave aveva davanti a sé
ancora pochi anni di vita, poi la sua gestione non sarebbe più stata remune-
rativa, e avrebbe dovuto essere smantellata per la rottamazione.
Lo scafo d'acciaio era ormai screziato dalla ruggine e l'aspetto del mer-
cantile era sordido quanto quello di una vecchia puttana nei bassifondi di
New York; tuttavia, agli occhi di Estelle, quella nave era bella e pura come
una vergine.
Il passato cominciava già a svanire dalla mente della ragazza. A ogni gi-
ro compiuto dagli ansimanti motori della San Marino, aumentava la di-
stanza tra la sua precedente esistenza, fatta di grigiore e di negazione di sé,
e questo sogno a lungo cullato che finalmente si realizzava.
Il primo passo verso la metamorfosi che portò Arta Casilighio a diventa-
re Estelle Wallace si ebbe una sera, quando, tornando dall'ufficio, lei sco-
prì un passaporto smarrito che si era incuneato tra i cuscini di un sedile
dell'autobus che percorre Wilshire Boulevard, a Los Angeles.
Passarono alcuni giorni, e lei non si decideva a fare ciò che è normale e
doveroso in simili casi, ovvero consegnare il documento smarrito al con-
ducente dell'autobus o spedirlo per posta direttamente alla proprietaria. In-
vece, Arta passava ore e ore a sfogliare le pagine di quel passaporto, osser-
vando come incantata i timbri di visto apposti alla frontiera di vari Paesi
esteri. Ma ciò che l'affascinava di più era la foto della proprietaria del do-
cumento: quel volto, se si trascurava la differente acconciatura dei capelli,
un po' più elaborata, era straordinariamente simile al suo. Anche l'età delle
due donne era circa la stessa; solo otto mesi d'intervallo tra le loro rispetti-
ve date di nascita. La sfumatura nocciola degli occhi era la medesima e,
con un semplice ritocco alla tinta dei capelli, avrebbe potuto essere scam-
biata per la sorella gemella.
Cominciò a truccarsi in modo da somigliare ancora di più a Estelle Wal-
lace, una specie di alter ego che, nelle sue fantasie, se non altro, poteva e-
vadere in quegli angoli esotici del mondo preclusi, invece, alla timida e in-
significante Arta Casilighio. Una sera, mentre si tratteneva oltre l'orario di
chiusura nella banca in cui era impiegata, si scoprì a fissare, senza riuscire
a distogliere lo sguardo, i grossi fasci di banconote, quasi ancora fresche di
stampa, che la Banca Centrale Federale di Los Angeles aveva appena in-
viato quel pomeriggio. Dopo quattro anni in quella stessa mansione, il ma-
neggiare ingenti somme di denaro era diventato per lei un fatto così con-
sueto da renderla virtualmente immune da emozioni, se non quella di una
certa noia, come succede prima o poi a tutti i cassieri di banca. Ma quella
volta, in modo quasi inesplicabile, quelle pile di banconote verdoline eser-
citavano su di lei un'attrazione irresistibile. A poco a poco, un'insidiosa
fantasia le si affacciò alla mente: come sarebbe stata la sua vita se tutti
quei soldi fossero stati suoi?
Arta si chiuse in casa durante il successivo fine settimana, per rendere
più saldo il suo proposito e studiare nei dettagli il colpo criminoso che a-
veva deciso di attuare, esercitandosi anche nei gesti che avrebbe dovuto
compiere, affinché tutto potesse filare come un meccanismo bene oliato,
senza il minimo intoppo. Passò la notte della domenica senza chiudere oc-
chio, ma poi l'ansia che l'attanagliava pian piano si sciolse, e all'alba si ri-
trovò sì fradicia di sudore ma più che mai determinata a portare sino in
fondo il suo piano.
L'invio di contante dalla Banca Centrale avveniva ogni lunedì, per mez-
zo di un furgone blindato, e si trattava di somme che in media oscillavano
tra i sei e gli ottocentomila dollari per volta. Il denaro veniva quindi conta-
to e trattenuto fino al mercoledì, quando si provvedeva a distribuirlo tra le
varie filiali della banca, disseminate nell'area metropolitana di Los Ange-
les. Arta aveva deciso che il momento più opportuno per agire era il lunedì
sera, quando riponeva nella camera blindata la sua cassetta piena di banco-
note da contare.
Quella mattina, dopo la doccia e il trucco, indossò sotto i vestiti una
guaina e si fasciò le gambe, da metà polpaccio fino alla sommità delle co-
sce, con un nastro biadesivo, lasciando la carta protettiva sul lato esterno.
A chi la osservasse il tutto risultava invisibile, perché aveva preso la pre-
cauzione d'indossare una gonna lunga fin quasi alle caviglie.
A quel punto non le restava che stipare in una capace borsa a sacco le
mazzette di carta filigranata ritagliata con cura che lei aveva preparato in
precedenza; in cima alle mazzette stavano banconote ancora vergini da
cinque dollari, avvolte da autentiche fascette bianche e blu della zecca, e
che a un'occhiata superficiale sarebbero risultate indistinguibili da quelle
originali.
Davanti al grande specchio della propria camera, Arta controllò da capo
a piedi la propria figura e disse a se stessa ancora una volta, come una le-
zione da imprimersi bene in mente: «Arta Casilighio non esiste più. Ora tu
sei Estelle Wallace». L'autosuggestione cominciava a sembrarle sempre
più efficace. Avvertì che i muscoli, fino a quel momento ancora contratti,
si stavano rilasciando, e anche il respiro diventava a poco a poco più calmo
e profondo. Espirò quindi a fondo, raddrizzò le spalle e si avviò al lavoro.
Nell'ansia di far apparire tutto in regola, finì inavvertitamente con l'arri-
vare in banca con dieci minuti di anticipo, un evento tanto insolito da risul-
tare stupefacente per chi conoscesse bene le sue abitudini, ma era pur sem-
pre un lunedì mattina, e pertanto nessuno ci fece caso. Una volta preso po-
sto dietro il solito bancone dove lavorava come cassiera, ogni minuto che
passava le parve un'ora, e ogni ora una vita intera. Si sentì stranamente di-
staccata da quell'ambiente a lei familiare, come se galleggiasse nel vuoto,
ma nonostante ciò riuscì a soffocare la tentazione, che più volte la riassalì,
di abbandonare quella rischiosa avventura. Per sua fortuna la paura e il pa-
nico non presero mai il sopravvento.
Quando finalmente scoccarono le sei e uno dei vicedirettori, facendo
scattare le relative serrature, provvide a chiudere il massiccio portone sul
fronte del palazzo della banca, Arta si affrettò a chiudere i conti di cassa,
avviandosi con studiata calma verso il bagno delle signore, e là, richiusa
alle spalle la porta di uno dei gabinetti, si mise a staccare la carta protettiva
del nastro adesivo che aveva intorno alle gambe e, gettatala nella tazza, ti-
rò lo scarico per far scomparire ogni traccia. Prese poi dalla borsa le maz-
zette di banconote false e le fissò al nastro adesivo, pestando più volte i
piedi per essere sicura che non si staccassero mentre camminava.
Quando infine fu soddisfatta del risultato e tutto fu pronto, uscì dal ba-
gno e attese nella sala, fingendosi indaffarata, finché tutti i suoi colleghi
cassieri non ebbero depositato le loro cassette con il contante nella camera
blindata. Le era sufficiente restare sola due minuti nel grande antro d'ac-
ciaio della cassaforte per fare tutto ciò che doveva. Due minuti appena; ed
ecco che la sorte esaudì il suo desiderio.
Rapidamente si sollevò la gonna e con movimenti precisi scambiò le
mazzette di banconote false con quelle dei soldi veri. Poi uscì dalla camera
blindata e, nel lasciare l'ufficio, rispose con un bel sorriso al cenno di salu-
to del vicedirettore, che attendeva l'uscita di tutti gli impiegati vicino a una
porta secondaria: non riusciva ancora a crederci, ma ce l'aveva fatta!
Una volta a casa, con impazienza si liberò immediatamente della gonna
e, staccate dalle gambe le mazzette di banconote, si affrettò a controllare
l'ammontare del bottino: 51.000 dollari.
Era troppo poco.
Provò un bruciante senso di frustrazione. Le serviva almeno il doppio di
quella somma per lasciare il Paese e mantenere un livello di vita appena
accettabile con i proventi di oculati investimenti del capitale, cercando di
non intaccarlo, ma anzi, possibilmente, di accrescerlo.
La facilità con cui aveva fatto il colpo l'aveva però resa audace. Avrebbe
avuto il coraggio di fare un'altra incursione nella camera blindata? Il dena-
ro inviato dalla Banca Centrale era già stato contato tutto, tuttavia prima di
mercoledì non sarebbe stato distribuito alle filiali periferiche. L'indomani
sarebbe stato martedì: aveva l'opportunità di effettuare un secondo colpo,
prima che fosse scoperto l'ammanco.
Perché no? si disse.
L'idea di derubare in due giorni consecutivi la stessa banca le parve una
cosa eccitante. Arta Casilighio forse non avrebbe mai trovato il coraggio
necessario, ma Estelle Wallace ne aveva da vendere.
Quella sera stessa acquistò in un negozio dell'usato una valigia di fattura
antiquata, adatta per sistemarci un doppio fondo. La riempì con i suoi ve-
stiti e i soldi, e si fece portare da un taxi fino all'aeroporto internazionale di
Los Angeles, dove per quella notte lasciò la valigia in una cassetta di sicu-
rezza, acquistando poi un biglietto aereo per San Francisco su un volo in
partenza nel tardo pomeriggio di martedì. Il biglietto per la notte di lunedì,
che non aveva potuto usare, lo avvolse in un giornale e lo gettò in un ce-
stino dei rifiuti. Ormai non le restava più nulla da fare, e così tornò a casa,
s'infilò a letto, e piombò subito in un sonno pesante.
Il secondo furto andò altrettanto liscio del primo. Tre ore dopo aver la-
sciato la Beverly-Wilshire Bank per l'ultima volta, stava di nuovo control-
lando l'ammontare del bottino in una stanza d'albergo di San Francisco. I
due colpi combinati avevano fruttato un totale di 128.000 dollari. Non cer-
to una cifra spropositata, tenendo conto del tasso d'inflazione, ma pur sem-
pre sufficiente a soddisfare le sue necessità.
La mossa seguente fu relativamente semplice. Sfogliando i quotidiani,
controllò gli annunci delle navi in partenza e vi lesse che la San Marino,
una nave da carico che operava i collegamenti con Auckland, in Nuova Ze-
landa, era in partenza alle sei e mezzo del mattino seguente.
Con un'ora di anticipo rispetto all'orario fissato per la partenza, salì la
scaletta d'imbarco della nave. Il comandante obiettò che era piuttosto inso-
lito imbarcare passeggeri, ma infine, dopo che ebbero raggiunto un accor-
do di mutua soddisfazione sul prezzo di quel passaggio, acconsentì corte-
semente a prenderla a bordo; Estelle sospettò che con tutta probabilità la
somma sarebbe finita nelle tasche del comandante, piuttosto che nei for-
zieri della compagnia.
Estelle, varcata la soglia della mensa ufficiali, ebbe un attimo di esita-
zione, intimidita dagli sguardi ammirati dei sei uomini seduti al tavolo da
pranzo.
La tinta ramata dei suoi capelli, lunghi fin sotto le spalle, s'intonava a
meraviglia con l'abbronzatura; indossava un lungo chemisier che si appog-
giava con pieghe morbide nei punti giusti del corpo. Un braccialetto bian-
co, di osso, era il suo unico monile. Gli ufficiali, nell'alzarsi per salutarla,
erano rimasti evidentemente colpiti in modo favorevole dalla sobria ele-
ganza della ragazza.
Il comandante Irvin Masters, un uomo alto e brizzolato, le si fece incon-
tro per porgerle il braccio. «È davvero un grande piacere vederla perfetta-
mente rimessa.»
«Credo che ormai il peggio sia passato», disse lei.
«Anche se mi secca ammetterlo, devo dire che avevo cominciato a pre-
occuparmi. Visto che non ha mai lasciato la sua cabina per cinque giorni di
seguito, ho temuto davvero il peggio. Non abbiamo neanche un medico a
bordo, e ci saremmo trovati in serie difficoltà, se avesse avuto bisogno di
cure specifiche.»
«Oh, grazie.»
Lui la guardò leggermente sorpreso. «Perché mi ringrazia?»
«Per essersi preoccupato per me.» Si strinse un po' di più al braccio del
suo anfitrione e aggiunse: «Era da tempo che nessuno mi riservava tante
attenzioni».
Il comandante le rispose con una strizzatina d'occhio: «Il comandante di
una nave è fatto apposta per questo». Poi, rivolto agli altri ufficiali: «Si-
gnori, ho il piacere di presentarvi la signorina Estelle Wallace, che ci ono-
rerà con la sua presenza fino ad Auckland».
Terminate le presentazioni di rito, lei si scoprì molto divertita dal fatto
che gli ufficiali fossero classificati ciascuno con un numero: il primo uffi-
ciale, il secondo ufficiale, c'era perfino il quarto. Le strinsero tutti la mano
con molta delicatezza, come se fosse di porcellana; tutti, eccetto l'ufficiale
di macchina, un tipo tracagnotto con due spalle da toro, e un forte accento
slavo. Questi le fece invece un inchino e le baciò la punta delle dita.
Il primo ufficiale andò verso il cameriere al bancone di mogano del pic-
colo bar della mensa ufficiali e chiese alla ragazza: «Signorina Wallace,
gradirebbe un aperitivo?»
«Sarebbe possibile avere un daiquiri? Avrei voglia di qualcosa di dol-
ce», rispose lei.
«Certamente», replicò il primo ufficiale. «La San Marino, anche se non
è certo una lussuosa nave da crociera, non è seconda a nessuno in fatto di
cocktail e di bar ben fornito; anzi, oserei dire che siamo quanto di meglio
si possa trovare, a questa latitudine del Pacifico.»
«Dovresti essere sincero sino in fondo, allora», intervenne bonariamente
il comandante. «Hai tralasciato di precisare che la nostra è forse l'unica
nave in circolazione, a questa latitudine.»
Il primo ufficiale rispose con noncuranza: «Un dettaglio del tutto trascu-
rabile, a mio parere. Lee, servi uno dei tuoi famosi daiquiri alla nostra gen-
tile ospite».
Estelle osservò ammirata il cameriere di bordo mentre preparava con de-
strezza gli ingredienti per il cocktail, e spremeva infine il limone da shake-
rare con il tutto: sembrava quasi un balletto in suo onore. La bevanda
schiumosa, una volta pronta, risultò ottima, tanto che lei dovette reprimere
l'impulso di mandarla giù tutta d'un fiato.
«Lei è davvero un barman eccezionale, Lee», si complimentò poi.
«Certo che lo è», confermò il comandante Masters. «Siamo tutti vera-
mente soddisfatti di averlo assunto a bordo.»
Estelle prese un altro sorso del cocktail. «Mi pare di aver notato che l'e-
quipaggio è composto prevalentemente da orientali.»
«Sono tutti rimpiazzi che abbiamo trovato all'ultimo momento, dopo che
ben dieci marinai hanno abbandonato la nave, non appena abbiamo attrac-
cato a San Francisco», spiegò Masters. «Per nostra fortuna, Lee e nove
suoi compagni coreani sono arrivati dall'ufficio di collocamento dei marit-
timi poco prima del momento di salpare di nuovo le ancore.»
«Una faccenda dannatamente poco chiara, se mi è consentito esprimere
la mia opinione», intervenne corrucciato il secondo ufficiale.
Masters replicò con una scrollata di spalle: «La diserzione dei marinai
quando la nave è attraccata in porto è un fenomeno ormai ricorrente e ben
noto sin da quando l'uomo preistorico costruì la prima zattera. Non c'era
nulla di strano in questo».
Il secondo ufficiale scosse la testa con aria poco convinta. «La diserzio-
ne di uno o due marinai, forse, ma non dieci tutti in una volta! La San Ma-
rino è una nave ancora solida, e il comandante conosce bene il suo mestie-
re. Non c'era niente che potesse motivare un simile esodo in massa.»
«Misteri della vita sul mare», replicò Masters con un sospiro. «Comun-
que sia, i coreani sono gente pulita, e grandi lavoratori. Non li vorrei dar
via nemmeno in cambio di metà di ciò che abbiamo caricato nelle stive.»
«Sarebbe un prezzo davvero esoso», mormorò l'ufficiale di macchina.
«Sarei indiscreta, se chiedessi che cosa trasportate?» fece Estelle.
«Nient'affatto», interloquì il quarto ufficiale, che era ancora quasi un ra-
gazzino. «A San Francisco abbiamo caricato...»
«Titanio in lingotti», intervenne il comandante.
«Valore del carico: otto milioni di dollari», aggiunse il primo ufficiale,
lanciando un'occhiata severa al quarto ufficiale.
«Me ne faccia un altro, per favore», disse Estelle, rivolgendosi al came-
riere coreano e allungandogli il bicchiere vuoto. Tornò poi a interrogare il
comandante: «Avevo già sentito parlare del titanio, ma non ho mai capito
per che cosa viene impiegato».
«Il titanio puro, che si ottiene con opportuni processi di lavorazione, ri-
sulta più resistente dell'acciaio e allo stesso tempo molto più leggero, e
questa caratteristica ne fa un materiale molto ricercato dall'industria aero-
nautica, soprattutto per i componenti dei motori a reazione. È anche larga-
mente utilizzato nella fabbricazione di vernici, del rayon e di varie materie
plastiche. Sospetto che anche nei cosmetici che lei adopera normalmente
ce ne siano tracce.»
Da una porta laterale si affacciò in quel momento il cuoco di bordo, un
altro orientale dal colorito anemico, che indossava un grembiule bianco
immacolato; fece un cenno a Lee il quale batté con un cucchiaio su un bic-
chiere, facendolo tintinnare con un suono argentino.
«La cena è pronta», annunciò con il suo forte accento esotico, accompa-
gnando quelle parole con un largo sorriso che scoprì l'antiestetico varco tra
gli incisivi superiori.
Mangiarono divinamente, ed Estelle si disse che non avrebbe mai potuto
dimenticare quella cena favolosa. Per giunta, trovarsi circondata dalle at-
tenzioni di sei aitanti uomini in uniforme era il massimo cui la sua legitti-
ma vanità femminile potesse aspirare.
Dopo il caffè, il comandante Masters si scusò e si diresse al tavolo del
bridge. A uno a uno, tutti gli ufficiali furono richiamati dalle loro consuete
incombenze, ed Estelle rimase in compagnia dell'ufficiale di macchina, il
quale la portò a fare un giro per la nave. Per intrattenerla le raccontò le
leggende superstiziose degli uomini di mare, piene di mostri paurosi che
emergono dalle profondità dell'oceano, e poi passò ai pettegolezzi che cir-
colavano tra l'equipaggio, che lei trovò molto divertenti, e che la fecero ri-
dere di cuore.
Alla fine raggiunsero la porta della cabina della ragazza, e l'ufficiale,
con i suoi modi galanti, le baciò di nuovo la mano. La invitò a fare cola-
zione insieme l'indomani mattina, e lei accettò.
Estelle entrò nella stretta cabina, fece scattare il chiavistello della porta e
accese la plafoniera centrale; poi tirò accuratamente la tendina che chiude-
va l'unico oblò, prese la valigia che aveva nascosto sotto il letto, e l'aprì.
Lo scomparto superiore della valigia conteneva il necessario per il truc-
co e un po' di biancheria ammucchiata alla rinfusa: lo estrasse completa-
mente e lo mise da parte. Sotto c'erano camicette e gonne ripiegate con cu-
ra. Ripose anche quei capi, ripromettendosi di stirarli più tardi nel locale
della doccia, dato che si erano un po' spiegazzati. Infilò poi delicatamente
una limetta per le unghie lungo i bordi del doppio fondo della valigia, fino
a sollevarlo. A quel punto si rilassò e trasse un sospiro di sollievo. Il dena-
ro era ancora al suo posto, mazzette di banconote ancora avvolte dalle fa-
scette della Banca Centrale Federale. Aveva attinto a esse con il contagoc-
ce, fino a quel momento.
Si sfilò il vestito passandolo sopra la testa: con un po' di sfrontatezza,
non aveva indossato nulla, al di sotto. Si buttò quindi nuda sul letto, con le
mani dietro la testa.
Chiuse gli occhi e cercò d'immaginare l'espressione sgomenta dei super-
visori della banca, al momento di scoprire che i soldi e la piccola Arta Ca-
silighio avevano preso il volo nello stesso istante. Li aveva fregati, tutti
quanti!
Provò un'eccitazione profonda, quasi sensuale, al pensiero che il suo
nome sarebbe finito in cima alla lista dei criminali ricercati dalla polizia
federale. Gli investigatori dell'FBI avrebbero interrogato tutti i suoi amici e
i vicini di casa, rintracciato chiunque l'avesse incontrata, controllato mi-
gliaia di depositi bancari per sapere se c'erano stati versamenti consistenti
negli ultimi tempi, soprattutto di banconote con i numeri consecutivi: ma
sarebbe stato tutto inutile. Arta, alias Estelle, non era dove si aspettavano
che fosse.
摘要:

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