Racconti_Asimov

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Racconti
Isaac Asimov
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Capitolo 1
E se...
Norman e Livvy erano in ritardo, naturalmente, dato che quando si deve pren-
dere un treno ci si accorge sempre all’ultimo momento di avere dimenticato
un’infinit`a di piccole cose indispensabili. Cos`ı dovettero occupare l’ultimo se-
dile della carrozza: l’unico che, nei treni americani, ne abbia di fronte un altro
messo nella direzione opposta a quella di marcia. Mentre Norman sistemava la
valigia sulla reticella, Livvy avvert`ı un senso di irritazione. Se un’altra coppia
si fosse seduta l`ı di fronte, si sarebbero ritrovati a fissarsi in faccia con aria
imbarazzata per la durata del viaggio, oppure, il che non era meglio, avrebbe-
ro eretto ingombranti barriere di giornali. D’altra parte, non c’erano proprio
altri posti liberi. A Norman non sembrava che importasse, e questo accrebbe
l’irritazione di Livvy. Di solito, reagivano nello stesso modo. Ed era proprio
quella la ragione, a detta di Norman, per cui lui era convinto d’avere sposato
la ragazza giusta. Diceva sempre: - Ci completiamo a vicenda, Livvy, e questo
`e la chiave di tutto. Quando fai un giochetto di pazienza, e un pezzo s’inca-
stra perfettamente nell’altro, vuol dire che ci sei. Non esistono altre soluzioni,
e di conseguenza non esistono altre ragazze. Al che, lei rideva e rispondeva: -
Se non fossi stato sull’autobus, quel giorno, probabilmente non mi avresti mai
incontrata. Che cosa avresti fatto, allora - - Sarei rimasto scapolo. `
E naturale.
E poi, ti avrei conosciuta un altro giorno, sempre tramite Georgette. - Non
sarebbe stata la stessa cosa. - S`ı, che lo sarebbe stata. - No, invece. E poi,
Georgette si sarebbe ben guardata dal presentarti a me. Anche lei s’interessava
a te, non `e certo cos`ı sciocca da crearsi una possibile rivale. - Che sciocchezze.
Livvy, allora, faceva la sua domanda preferita. - Norman, se tu fossi arrivato un
minuto dopo alla fermata e avessi preso l’autobus successivo? Che cosa pensi
che sarebbe accaduto - - E se i pesci mettessero le ali e se ne volassero tutti in
cima alle montagne? Che cosa mangeremmo il venerd`ı - Ma avevano preso lo
stesso autobus, e i pesci non avevano le ali, ragion per cui erano ormai sposati
da cinque anni e mangiavano sempre pesce il venerd`ı. E poich´e erano sposati
da cinque anni, stavano andando una settimana a New York, proprio per festeg-
giare l’anniversario del matrimonio. Poi lei si ricord`o del problema presente. -
Peccato non aver trovato posto da un’altra parte. - Lo so - disse Norman. -
Hai ragione. Ma l`ı non si `e seduto nessuno finora, perci`o potremo starcene in
pace almeno fino a Providence. Livvy, non riusc`ı a consolarsi, e prov`o un senso
di amara soddisfazione quando un ometto grassoccio spunt`o nel corridoio cen-
trale della carrozza. E questo da dove veniva? Il treno era gi`a a mezza strada
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4CAPITOLO 1. E SE...
tra Boston e Providence, e se l’ometto aveva gi`a un posto, perch´e non se l’era
tenuto? Livvy tir`o fuori il portacipria e prese a osservarsi nello specchio. Era
convinta che, se avesse ignorato l’ometto, lui sarebbe passato oltre. Cos`ı, si
concentr`o sui suoi capelli castano dorato che, nella fretta di prendere il treno, si
erano spettinati un po’; sui suoi occhi celesti, e sulla bocca piccola dalle labbra
sporgenti che, a sentir Norman, sembravano in permanenza atteggiate al bacio.
Mica male si disse. Poi guarda in su, e l’omino era seduto di fronte. Incontr`o lo
sguardo di lei e le dedic`o un bel sorriso. L’omino si affrett`o a levarsi il cappello e
lo pos`o accanto, sopra una piccola scatola nera che portava con s´e. Una corona
di capelli bianchi subito si sollev`o attorno all’ampio spiazzo calvo che rendeva il
centro della sua testa simile a un deserto. Livvy non pot´e fare a meno di ricam-
biare il sorriso ma appena il suo sguardo si pos`o di nuovo sulla scatola nera il
sorriso svan`ı e con una gomitata richiam`o l’attenzione di Norman. Norman alz`o
gli occhi dal giornale. Aveva le sopracciglia e gli occhi neri che c’erano sotto si
chinarono su di lei con la solita espressione d’affetto, un’espressione compiaciuta
e anche vagamente divertita. - Che c’`e? - Norman non guard`o verso l’ometto
grassoccio che sedeva di fronte. Livvy, con un gesto discreto del capo e della
mano, fece del suo meglio per indicare quello che vedeva. Ma l’ometto la stava
osservando e questo la fece sentire un po’ sciocca, tanto pi`u che Norman si li-
mitava a fissarla senza capire. Alla fine, gli si fece pi`u vicina e bisbigli`o: - Non
vedi che cosa c’`e scritto su quella scatola - Guard`o di nuovo, nel dirlo, e non
c’era possibilit`a di sbagliarsi. Non era una scritta che risaltasse molto, ma alla
luce vi batteva di traverso, per cui spiccava come un’area lievemente pi`u lucida
contro il fondo nero. In carattere corsivo, si leggeva: E Se. L’ometto sorrideva
di nuovo e assentiva rapidamente, continuando a indicare prima le parole e poi
se stesso. - Forse si chiama cos`ı - disse Norman sottovoce. - Oh, ma vuoi che
abbia un nome simile - Norman mise da parte il giornale. - Ora vedremo. -
Si protese verso l’altro e disse: - Signor Se - L’ometto lo guard`o attentamente.
- Sa l’ora, signor Se - L’ometto estrasse un largo orologio dal taschino del gil´e
e mostr`o il quadrante. - Grazie, signor Se - disse Norman. E aggiunse, in un
bisbiglio: - Visto, Livvy - Sarebbe tornato al suo giornale, ma l’omino stava
aprendo la sua scatola e, nel farlo, alz`o un dito per trattenere la loro attenzione.
Era soltanto una lastra di vetro smerigliato quella che tir`o fuori: misurava circa
quindici centimetri per ventidue e aveva uno spessore di un paio di centimetri.
Poi, l’ometto estrasse dalla scatola un piccolo sostegno di ferro, al quale la lastra
si adattava perfettamente. Pos`o il tutto sulle ginocchia e guard`o con orgoglio
i due. Livvy, disse, con improvvisa animazione: - Santo cielo, Norman, `e una
specie di schermo. Norman si chin`o per vedere meglio. Poi, guard`o l’ometto. -
Che cos’`e? Un nuovo tipo di televisore - L’ometto scosse la testa. - No, Norman
- disse Livvy. - Siamo noi. - Cosa - - Non vedi? `e l’autobus sul quale ci siamo
incontrati. Eccoti l`a, sul sedile in fondo, con in testa quel vecchio cappello che
ho buttato via tre anni fa. E quelle siamo Georgette e io che stiamo salendo. La
signora grassa in mezzo. Andiamo! Non vedi che siamo noi - - Dev’essere una
specie di visione - mormor`o lui. - Ma lo vedi anche tu, vero? Ecco perch´e lui
chiama questo arnese E Se. Ce lo mostrer`a, capisci? E se l’autobus non avesse
dato quello scossone... Ne era sicurissima. E si sentiva molto eccitata. Mentre
fissava l’immagine nella lastra di vetro, la luce del tardo pomeriggio parve farsi
pi`u tenue e il chiacchierio frammentario dei passeggeri attorno e dietro il loro co-
minci`o a svanire. Come lo ricordava, quel giorno! Norman conosceva Georgette
ed era stato sul punto di cederle il suo posto quando l’autobus aveva dato uno
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scossone e Livvy gli era finita sulle ginocchia. Una situazione davvero ridicola
e assurda, eppure aveva funzionato. Lei si era trovata talmente in imbarazzo
che Norman si era sentito in dovere di mostrarsi galante e di mettersi a far
conversazione. Non era stato neppure necessario che Georgette facesse le pre-
sentazioni. Il tempo di arrivare alla loro fermata, e gi`a Norman aveva scoperto
dove lei lavorava. Livvy ricordava ancora Georgette che la guardava invelenita,
e il suo sorriso verde quando, a loro volta, si erano salutate. - Hai fatto colpo
su Norman, pare - aveva detto Georgette. - Oh, non essere sciocca - aveva re-
plicato Livvy. - Cercava solo di essere gentile. Ma `e un tipo simpatico, vero -
Sei mesi dopo, si erano sposati. E ora l`ı c’era lo stesso autobus, con Norman,
lei e Georgette. Mentre pensava, i rumori attutiti del treno svanirono del tutto.
Lei, ora, si sentiva all’interno dell’autobus traballante. Vi era appena salita con
Georgette, alla fermata precedente. Livvy, spostava il suo peso a tempo con
l’ondeggiare del veicolo, come facevano altre quaranta persone, chi in piedi e chi
a sedere, tutti sullo stesso ritmo monotono e un po’ ridicolo. Lei diceva: - C’`e
uno che ti fa segno, Georgette. Lo conosci - - A chi, a me - Georgette gettava
uno sguardo volutamente indifferente dietro di s´e. Le sue lunghe ciglia finte si
agitavano. Poi diceva: - S`ı, `e un conoscente. E che cosa vorr`a - - Sentiamo -
diceva Livvy. Si sentiva compiaciuta e un tantino perfida. Georgette aveva la
ben nota abitudine di tenersi per s´e le sue conoscenze maschili, ed era piutto-
sto divertente farla indispettire. E poi, quel tipo l`ı sembrava molto... molto
interessante. Livvy si infilava decisamente in mezzo a tutte quelle persone in
piedi, e Georgette la seguiva, senza entusiasmo. Proprio nell’attimo in cui Livvy
arrivava davanti al sedile del giovanotto, l’autobus dava un tremendo scossone
nell’affrontare una curva. Livvy si tendeva disperatamente per aggrapparsi alla
maniglia. Le sue dita l’afferravano e lei riusciva a restare aggrappata. Passava
un lungo istante prima che lei potesse tirare il respiro. Chiss`a perch´e, le era
sembrato che non ci fossero maniglie a portata di mano. E sentiva che, secondo
tutte le leggi di natura, avrebbe dovuto cadere. Il giovanotto non la degnava
di uno sguardo. Sorrideva a Georgette e si alzava per cederle il posto. Aveva
sopracciglia straordinarie che gli davano l’aria del tipo deciso e molto sicuro di
s´e. Livvy pensava che, decisamente, le era simpatico. Georgette stava dicendo:
- Oh no, non `e il caso. Scendiamo tra due fermate. Ed ecco, scendevano. -
Credevo che stessimo andando da Sach - diceva Livvy. - Infatti. Ma m’`e venuto
in mente che prima devo fare una commissione qui. Ci mettiamo un minuto.
- Prossima fermata, Providence! - strill`o l’altoparlante. Il treno rallentava e
il mondo del passato era nuovamente rimpicciolito fino a rientrare nella lastra.
L’omino sorrideva sempre. Livvy si rivolse a Norman. Si sentiva un po’ spa-
ventata. - L’hai rivissuto anche tu, tutto questo - - Ma `e passato il tempo e
non me ne sono accorto. Possibile che stiamo gi`a per arrivare a Providence? -
Guard`o l’orologio. - Eh s`ı, `e cos`ı. Non sei caduta, quella volta. - Allora hai
visto anche tu? - disse lei aggrottando le sopracciglia. - Che odiosa, quella
Georgette. Scommetto che non aveva nessuna ragione di scendere dall’autobus,
salvo quella di impedire che ci fossero presentazioni. Da quanto tempo cono-
scevi Georgette - - Non molto. La conoscevo abbastanza per sentirmi in dovere
di offrirle il mio posto. Livvy sorrise verde. Norman si divertiva. - Non vorrai
essere gelosa di quello che avrebbe potuto accadere, spero. E poi, che differenza
avrebbe fatto? Sarei stato sufficientemente interessato a te per escogitare un
modo per incontrarti. - Non mi hai neppure degnata di uno sguardo. - Non ne
ho avuto il tempo. - Allora come avresti fatto per incontrarmi - - In qualche
摘要:

RaccontiIsaacAsimov2Capitolo1Ese...NormaneLivvyeranoinritardo,naturalmente,datochequandosidevepren-dereuntrenocisiaccorgesempreall'ultimomomentodiaveredimenticatoun'in nitadipiccolecoseindispensabili.Cosdovetterooccuparel'ultimose-diledellacarrozza:l'unicoche,neitreniamericani,neabbiadifronteunal...

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