Classico F S Urania Completo Strisciava Sulla Sabia

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STRISCIAVA NELLA SABBIA
Anche sulla Terra le ombre servono
ottimamente a chi cerca un nascondiglio.
Certo dove attorno alle ombre c’è molta luce,
le zone scure saltano subito all’occhio e il
riverbero penetra, ma se la luce intorno non è
molto forte, chi intenda nascondersi può
mettersi nell’ombra diventando pressoché
invisibile.
Oltre la Terra, dove non esiste aria a
diffondere la luce, sarebbe stato ancora
meglio. L’ombra del pianeta è un cono di buio
lungo un milione e mezzo di chilometri che
parte dal sole, del tutto indistinguibile,
circondato com’è dal nero dello spazio, e
adatto quindi a offrire una invisibilità
perfetta, perché l’unica luce che penetra il
cono d’ombra è quella delle stelle, il cui
debole riflesso luminoso può forare l’oscurità
grazie all’involucro d’aria che circonda il
pianeta.
Il Cacciatore sapeva di trovarsi nell’ombra di
un mondo, per quanto ignorasse l’esistenza
della Terra. L’aveva capito quando aveva
visto davanti a sé il disco scuro orlato di
scarlatto. Sulle prime aveva pensato che da
quel momento solo gli strumenti avrebbero
potuto rivelare la presenza dell’astronave
inseguita. Poi si era reso conto che l’altra
nave restava visibile anche ad occhio nudo, e
la sensazione d’allarme che era affiorata sino
agli strati esterni della sua mente, tornò i
profondità.
Non aveva capito però, perché il fuggiasco
avesse diminuito la velocità, ma forse l’altro
aveva sperato che il Cacciatore mantenendo
alta la sua, lo superasse uscendo così dal
raggio d’azione dei rivelatori. Ma questo non
era successo, e il Cacciatore si era aspettato
una ripresa di velocità, invece l’altra
astronave proseguiva in decelerazione. Per di
più il fuggitivo si era messo tra lui e il
pianeta, rendendo pericolosa una manovra di
accostamento rapido. Il Cacciatore stava
pensando che probabilmente da un momento
all’altro entrambi avrebbero dovuto compiere
un’inversione di rotta, tornando da dove erano
venuti, quando un lampo di luce rossa
l’avvertì che l’altro era penetrato
nell’atmosfera del pianeta. Pianeta più piccolo
e più vicino di quanto avrebbe creduto.
La vista di quel bagliore fu sufficiente. Nel
tentativo di deviare dalla rotta che lo portava
diritto contro il pianeta, il Cacciatore impegnò
la massima quantità di erg che i suoi
generatori poteva sopportare e
contemporaneamente trasferì gran parte del
suo corpo nella cabina di pilotaggio, per fare
da protezione gelatinosa attorno al perit. Ebbe
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appena il tempo di chiedersi perché mai la
creatura che lo precedeva nello spazio avesse
voluto rischiare astronave ed equipaggio
concludendo la fuga con un disastro sicuro,
disastro preceduto dai pericoli impliciti
nell’attraversare in quel modo l’atmosfera di
un mondo. Comunque tenne gli occhi bene
fissi sugli strumenti che gli avrebbero detto
dove andava a finire il fuggitivo, e fece bene
perché il luccicante cilindro scomparve
improvvisamente nella nuvola di vapore che
avvolgeva la superficie del pianeta. Un
secondo più tardi l’astronave del Cacciatore
sprofondò a sua volta nel medesimo elemento,
e nello stesso momento il corso rettilineo
dell’astronave si trasformò in un moto
ondeggiante, decisamente sgradevole. Doveva
essere saltata via una delle pinne direzionali,
probabilmente danneggiata dal calore
provocato dall’attrito con l’atmosfera, ma non
era il momento di preoccuparsene. Notò che
l’altra astronave si era fermata di colpo, come
se avesse urtato contro un muro, poi aveva
ripreso a scendere, ma più lentamente, e si
rese conto che fra pochissimi istanti anche lui
sarebbe finito contro lo stesso ostacolo, se
questo era disposto orizzontalmente.
Lo era. L’astronave del Cacciatore
continuando a ondeggiare benché lui avesse
provveduto a ritrarre le altre pinne, cadde di
pancia sull’acqua, e sotto la forza dell’impatto
si aprì per il ungo, come i guscio di una noce.
Quasi tutta l’energia cinetica della macchina
si disperse nell’urto, ma l’astronave non si
fermò. Ondeggiando dolcemente, alcuni
minuti più tardi lo scafo si posò su quello che
il Cacciatore ritenne essere il fondo di un
lago, o di un mare.
Unico consolazione: l’altro doveva trovarsi
negli stessi guai. Anche se l’astronave
inseguita aveva colpito l’acqua con la testa
anziché con la pancia come aveva fatto lui, gli
effetti di una collisione a quella velocità non
potevano essere molto diversi, e lo scafo del
fuggitivo era certamente ormai inutilizzabile,
come il suo, anche se i danni reali non
ammontavano alle stesse proporzioni.
Tornò ad occuparsi della propria situazione.
Saggiò cautamente lo spazio attorno a sé
scoprì di non trovarsi più in gran parte nella
cabina di comando. Anzi: non esisteva più la
cabina di comando. Il locale cilindrico, lungo
circa sessanta centimetri e con un diametro di
circa venticinque, adesso era uno spazio
informe fra le due valve dentellate che
avevano costituito lo scafo. Le varie sezioni,
tagliate a metà, risultavano appiattite e
compresse in uno spazio di pochi centimetri.
La paratia all’altra estremità del locale era
spezzata e contorta. Il perit, ovviamente era
morto. Non solo era rimasto schiacciato dalla
paratia crollata, ma il corpo semiliquido del
Cacciatore gli aveva trasmesso l’urto
dell’impatto fin nell’intimo di ogni cellula
(così come ogni molecola dell’acqua
contenuta in un recipiente riceve moltiplicato
l’urto di un proiettile che colpisce il
recipiente) e la maggior parte dei suoi organi
interni si era sfasciata. Il Cacciatore si ritrasse
dalla piccola creatura. Però non espulse i
resti: per quanto l’idea fosse sgradevole,
potevano servirgli come cibo, più tardi.
L’atteggiamento del Cacciatore verso il
piccolo animale era molto simile a quello di
un uomo verso il proprio cane. Il perit però,
con le sue mani delicate che il Cacciatore gli
aveva insegnato ad usare a comando come un
elefante usa la proboscide agli ordini di un
uomo, era assai più utile di un cane.
Proseguì nell’esplorazione estendendo uno
dei suoi pseudopodi di carne gelatinosa.
Sapeva già che il relitto giaceva in acque
salate, ma non aveva nessuna idea sulla
profondità di quell’acqua, per quanto avesse
capito che non era molto profonda. Sul suo
pianeta avrebbe potuto fare un rapido calcolo
basandosi sulla pressione, ma la pressione
dipende tanto dalla profondità dell’acqua
quanto dal suo peso, e lui prima del disastro
non aveva avuto modo di calcolare la gravità
di quel pianeta.
Era tutto buio intorno allo scafo. Modellò un
occhio nei propri tessuti, dato che gli occhi
del perit non servivano più, ma non capì gran
che di quello che lo circondava. Di una cosa
però si rese conto di colpo: la pressione
dell’acqua attorno a lui non era costante.
Aumentava e diminuiva con una certa
regolarità. Inoltre la sua carne sensibilissima
riceveva onde ad alta frequenza che lui
interpretò come suoni. Dopo aver ascoltato
attentamente, capì di trovarsi relativamente
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vicino alla superficie di uno specchio d’acqua,
e che nell’aria era in corso una tempesta.
Durante la caduta catastrofica attraverso
l’atmosfera del pianeta non si era accorto che
ci fossero in corso disturbi atmosferici, ma
questo non significava granché il suo
passaggio attraverso i vari strati dell’aria era
stato troppo rapido perché la sua attenzione
venisse colpita dalla presenza di un vento
anche sensibile.
Infilando l’altro pseudopodo nel fango che
circondava il relitto, il Cacciatore scoprì di
non essere precipitato in un mondo inabitato.
Nell’acqua c’era sufficiente ossigeno per
sopperire alle sue necessità e di conseguenza
doveva essercene anche nell’atmosfera.
Comunque la certezza che la vita esistesse era
ancora meglio della semplice teoria che lì la
vita era possibile. Fu fortunato. Il fango si
rivelò ricco di piccoli molluschi bivalve che si
rivelarono commestibili.
Dopo avere stabilito che in quella parte del
pianeta era notte, e deciso di conseguenza di
rimandare ogni azione esplorativa a quando ci
fosse stata più luce, il Cacciatore tornò a
rivolgere l’attenzione al relitto dell’astronave.
Non si era certo aspettato di fare scoperte
incoraggianti, ma la reale entità del disastro,
totale, irreparabile, lo mise a disagio. Le parti
più solide, i grossi blocchi di metallo della
macchina si erano deformati sotto la violenza
dell’urto. Le parti più delicate come tubature
e strumenti erano state polverizzate e spazzate
via dall’acqua. Nessuna creatura vivente
impastoiata da una forma ben definita e dotata
di parti solide nel proprio corpo sarebbe
scampata a un simile incidente qualunque
protezione avesse avuto. Il pensiero gli fu di
un certo conforto. Aveva fatto il possibile per
salvare il perit e non aveva niente da
rimproverarsi. Una volta appurato che
nell’astronave non era rimasto niente di
utilizzabile, il Cacciatore si disse che non
avrebbe potuto intraprendere niente di molto
utile finché non avesse avuto a disposizione
una maggiore quantità di ossigeno, il che
significava raggiungere l’aria libera. Perciò si
mise calmo, e si dispose ad aspettare la fine
della tempesta e l’arrivo del giorno, dentro il
discutibile riparo che lo scafo poteva offrire.
In acque calme poteva raggiungere la spiaggia
con le sue sole forze, dato che il rumore
portato dalle onde denunciava la vicinanza di
una riva.
Rimase sdraiato nello scafo per parecchie ore,
egli capitò di pensare che quello poteva anche
essere un pianeta che teneva sempre rivolto
verso il sole un solo emisfero. Ma subito dopo
pensò che in questo caso l’emisfero in ombra
non avrebbe avuto acqua, perché sarebbe stato
troppo freddo. Forse era più logico pensare
che la tempesta con le sue nubi oscurasse la
luce del giorno.
Adesso lo scafo non si muoveva più. La
pressione e il suo peso l’avevano saldamente
piantato nel fango. Quindi, certo che il relitto
non si poteva muovere, il naufrago si allarmò
quando il suo rifugio prese a spostarsi
lentamente. Subito allungò un tentacolo in
esplorazione, modellando un occhio
all’estremità. Ma il buio era troppo intenso, e
il Cacciatore dovette accontentarsi
dell’esplorazione tattile. Ebbe
immediatamente la sensazione di una pelle
rugosa che sfregasse contro il metallo del
relitto. Era qualcosa di vivo che dimostrò
subito le proprie qualità sensoriali allargando
una delle sue estremità in una bocca che
risultò al sondaggio, straordinariamente ben
fornita di denti simili a lame.
La reazione del Cacciatore fu normale,
normale per lui almeno: mise una piccola
parte di sé in diretto contatto con quella
spiacevole rastrelliera, trasformandosi allo
stato semi liquido, e poi, essendo un essere
dalle decisioni rapide, valutate le dimensioni
dell’intruso, abbandonò il relitto e nuotò verso
la creatura sperando che potesse offrirgli
qualcosa di conveniente.
Lo squalo, un pesce martello di due metri e
mezzo, forse rimase sorpreso e probabilmente
si seccò ma, come tutti quelli della sua razza,
non aveva abbastanza cervello per provare
paura. Le sue brutte mascelle si richiusero
voraci su quella che sembrava solida carne
appetitosa e che si dissolse invece in acqua. Il
Cacciatore non tentò nemmeno di sfuggire ai
denti, perché pericoli di quel genere non gli
facevano paura, però resistette ai tentativi che
il pesce compì per ingoiare la porzione del
corpo gelatinoso. Non possedendo pelle che
gli servisse da protezione, non voleva esporsi
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ai succhi gastrici. Poi, mentre lo squalo si
agitava istintivamente contro un fenomeno
che gli era incomprensibile il Cacciatore inviò
alcuni pseudopodi all’esplorazione della pelle
ruvida che ricopriva la forma marina, e quasi
subito scoprì le cinque branchie che si
aprivano sui due lati del collo della creatura.
Gli bastò. Senza perdere tempo agì con
l’abilità e la precisione che gli venivano dalla
lunga esperienza. Il Cacciatore era un
metazoo, una creatura pluricellulare come gli
uomini o gli uccelli, nonostante che
mancasse, almeno apparentemente, di una
struttura precisa. Ma le singole cellule del suo
corpo erano assai più piccole delle cellule di
qualsiasi creatura terrestre. Questo gli rendeva
possibile costruirsi arti, completi di muscoli e
nervi sensoriali, sufficientemente sottili da
penetrare nei capillari di qualunque essere
costruito più rigorosamente, senza tuttavia
interferire con la circolazione del sangue.
Perciò non ebbe difficoltà a insinuarsi nel
corpo dello squalo. Lo squalo si calmò appena
quella cosa che si trovava nella sua bocca e
attorno al suo corpo smise di inviare messaggi
tattili al suo minuscolo cervello. A tutti gli
effetti, il pesce non possedeva memoria.
Per il Cacciatore iniziò un periodo di grande
attività. Prima cosa, e la più importante;
l’ossigeno. Rapidamente inviò appendici
submicroscopiche tra le cellule che
formavano le pareti dei vasi sanguigni e
cominciò a derubarle del loro prezioso carico.
Gliene serviva pochissimo, tant’è vero che sul
suo mondo aveva vissuto per anni in quel
modo dentro il corpo di un respiratore
d’ossigeno intelligente, in pieno accordo con
il suo ospite, ricompensandolo però
abbondantemente per questa ospitalità.
Poi gli serviva la vista. Con tutta probabilità il
suo ospite attuale possedeva organi visivi,
quindi il Cacciatore cominciò a cercarli.
Avrebbe potuto anche costruire un occhio con
una parete del proprio corpo, ma occhi già
pronti in genere servivano meglio di quelli
che poteva costruire lui al momento.
La sua ricerca venne interrotta sul nascere.
Durante la lotta cieca contro il Cacciatore lo
squalo si era avvicinato alla spiaggia più di
quanto gli fosse gradito, perciò appena finito
di occuparsi dell’intruso, tentò di tornare in
acque più profonde. Ma appena ebbe inizio il
furto d’ossigeno, lo squalo riprese ad agitarsi,
dando inizio ad una catena di fenomeni che
attirò l’attenzione dello straniero.
Il sistema respiratorio di un pesce funziona in
condizioni svantaggiose, infatti l’ossigeno
sciolto nell’acqua non ha mai un’altra
concentrazione ,e una creatura marina che
respiri ossigeno non è in grado di farsi una
buona scorta del gas, qualunque siano le sue
dimensioni e la sua forza. Il Cacciatore non ne
consumava molto, ma stava cercando di farsi
una scorta sua,e come risultato, considerato
anche l’eccessivo spreco d’energia che lo
squalo stava compiendo, il consumo
d’ossigeno cominciò a superare il
rifornimento. Gli effetti furono due: la forza
fisica del mostro prese a esaurirsi e la quantità
di ossigeno contenuta nel suo sangue diminuì
pericolosamente. Se a questo si aggiunge che
quasi senza rendersene conto, il Cacciatore
aveva aumentato i suoi prelievi, è evidente
che l’episodio poteva avere un’unica
conclusione.
Il Cacciatore se ne accorse molto prima che lo
squalo morisse, ma non prese provvedimenti
anche se avrebbe potuto benissimo diminuire
il suo consumo personale d’ossigeno senza
risentirne. Avrebbe anche potuto abbandonare
il corpo dello squalo, ma non se la sentiva di
andarsene in giro indifeso, con il pericolo di
scontrarsi con qualche creatura
sufficientemente grossa e svelta da ingoiarlo
tutto intero. Rimase quindi dentro lo squalo, e
continuò ad assorbire ossigeno in quantità
perché aveva capito che se lasciava al pesce
forza sufficiente questi l’avrebbe portato
lontano dalla riva, alla quale lui invece voleva
avvicinarsi. Nel frattempo aveva individuato
esattamente il posto del suo ospite sulla scale
dell’evoluzione, e all’idea di uccidere la
bestia non provava maggior rimorso di quello
che avrebbe afflitto un uomo.
Il mostro impiegò parecchie ore a morire, ma
perse forze molto prima. Quando lo squalo
smise di dibattersi il Cacciatore riprese a
cercare gli occhi, e finalmente li trovò.
Depositò una lieve pellicola elaborata del suo
corpo attorno alle cellule delle retine, da usare
quando si sarebbe stata più luce. Inoltre dal
momento che lo squalo denotava la brutta
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tendenza ad affondare, la creatura
extraterrestre estese altre appendici per
catturare al passaggio le bolle d’aria
provocate dalla tempesta. Il gas così assorbito
insieme all’anidride carbonica prodotta da lui,
accumulò nella cavità addominale della bestia
una certa quantità di elementi galleggianti.
Poi, quando ebbe tempo di occuparsene, si
accorse che il rumore della risacca era
diventato più forte, ma il suo scafo
improvvisato però si muoveva solo su e giù.
La cosa non gli dava noia, ma lui voleva un
movimento in avanti, verso la spiaggia e
questo veniva solo dalle onde che
s’incaricavano però anche di riportare indietro
lo squalo. Comunque la tempesta stava
diminuendo d’intensità, e quando alla fine
spuntarono le prime luci dell’alba, l’uragano
si era placato. Ma c’erano ancora raffiche di
vento.
Dal punto in cui si trovava il Cacciatore poté
spaziare sui dintorni. Da una parte c’era la
spiaggia che si stendeva uniforme sino ad una
fila d’alberi alti e sottili con un grande ciuffo
di foglie frastagliate sulla cima. Non riuscì a
vedere cosa ci fosse dietro gli alberi perché il
suo punto di vista era troppo basso, vide però
che tra un albero e l’altro c’era un certo
spazio. Nell’altra direzione la spiaggia si
protendeva nell’acqua e poi probabilmente
rientrava perché lui sentiva il rumore delle
onde venire da dietro quella protuberanza di
terra. Non riusciva a vedere l’oceano ma era
ovvio che fosse alle sue spalle. Sulla destra
aveva una polla d’acqua che adesso di stava
vuotando lentamente nell’oceano. La
tempesta doveva averla riempita abbastanza
per richiamare lo squalo. Ecco dunque perché
il pesce si era trovato tanto vicino alla riva. In
seguito l’alta marea l’aveva portato fin lì, e lì
l’aveva lasciato quando si era ritirata.
Sentì numerose grida rauche, e guardando in
su vide parecchi uccelli. La cosa gli piacque
perché dimostrava che sul pianeta c’erano
forme di vita più evolute dei peschi. Un essere
intelligente sarebbe stato ancora meglio per
lui, perché una creatura intelligente è più
portato a salvaguardarsi. Inoltre gli sarebbe
servita molto meglio per ritrovare il pilota
dell’altra astronave. Però avrebbe incontrato
qualche difficoltà a insinuarsi in una creatura
intelligente non abituata a vivere in simbiosi.
In ogni caso bisognava che aspettasse
un’occasione. Anche ammesso che sul pianeta
esistessero creature intelligenti, poteva darsi
che non si avvicinassero mai al punto dove
stava lui, e se l’avessero fatto, poteva darsi
che lui non le riconoscesse come tali in tempo
per trarre vantaggio dalla situazione. Meglio
aspettare, magari per parecchi giorni, e
osservare quali forme di vita frequentavano il
posto. In seguito avrebbe studiato un piano
per invadere l’ospite più adatto alle sue
necessità. In fondo il tempo non era di
importanza vitale. Come lui, anche la sua
preda non era assolutamente in grado di
lasciare il pianeta, e finché stava lì, il lavoro
di ricerca sarebbe stato decisamente noioso.
Quindi, il tempo passato a fare piani accurati
avrebbe senza dubbio offerto i suoi vantaggi.
Quindi attese mentre il sole saliva più alto e il
vento diventava brezza . faceva caldo. Il
Cacciatore si accorse subito dei lievi
mutamente di natura chimica che si
verificavano nella carne dello squalo. Erano
cambiamenti tali da dare la certezza che, se
qualche creatura abitante in quel pianeta
possedeva il senso dell’olfatto, presto ci
sarebbero state visite. Il Cacciatore avrebbe
facilmente potuto rallentare il processo di
decomposizione del pesce mangiando i batteri
che la causavano, ma non aveva fame, e non
era contrario alle visite, anzi!
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I primi ad arrivare furono i gabbiani.
Planarono a uno a uno attirati dalla vista e
dall’odore. Il Cacciatore si ritrasse nella parte
più bassa del corpo e non fece niente per
mandarli via, nemmeno quando uno beccò
negli occhi del grande pesce privandolo del
mezzo per vedere all’esterno. Se fossero
arrivate altre forme di vita se ne sarebbe
accorto ugualmente. Se non ne arrivavano,
avere a tiro i gabbiani diventava utile.
Gli uccelli grigiastri rimasero indisturbati
sulla carcassa sino alle prime ore del
pomeriggio, per quanto la durezza della pelle
del pescecane resistesse in diversi punti ai
loro becchi. Ma erano uccelli tenaci e, quando
volarono via di colpo il Cacciatore capì che lì
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vicino doveva succedere qualcosa di
interessante. Fece uscire dalla carcassa
abbastanza tessuto per formare un occhio e
guardò attorno con prudenza. Vide subito
quello che aveva causato la fuga dei gabbiani.
Dalla zona alberata si avvicinavano diverse
creature assai più grandi degli uccelli. Erano
bipedi. Più vicino a lui correva invece un
piccolo quadrupede che lanciava nell’aria
secchi suoni acuti. Il Cacciatore stimò il peso
del quadrupede in circa diciotto chili, e quello
del bipede più grande in sessanta chili. I
bipedi erano quattro e correvano anche loro
ma non così in fretta come il quadrupede.
L’osservatore nascosto li esaminò
attentamente, sempre più soddisfatto.
Potevano muoversi abbastanza velocemente,
le loro teste erano di dimensioni tali da
assicurare una buona intelligenza (ammesso
che quella razza avesse il cervello nella testa),
la loro pelle era quasi completamente senza
protezione, cosa che permetteva in facile
accesso attraverso i pori. Quando i bipedi si
fermarono accanto al corpo del pesce
martello, il Cacciatore ebbe un’altra prova
della loro intelligenza: le creature si
scambiarono suoni articolati che avevano tutte
le caratteristiche di un linguaggio. Il
Cacciatore era, a dir poco, felice. Non aveva
affatto sperato di imbattersi così presto in un
ospite ideale.
Restavano ancora da risolvere diversi
problemi. Il Cacciatore era pronto a
scommettere che quegli essere non
praticavano la simbiosi, e certamente non
avevano mai visto una della sua specie. Perciò
se lo vedevano accostarsi a loro si sarebbero
immediatamente allontanati per evitare ogni
contatto. E lui non voleva penetrare di forza
in una di quelle creature, per non creare
precedenti che avrebbero compromesso la
futura collaborazione del suo ospite.
Bisognava agire con prudenza e diplomazia.
I quattro bipedi restarono accanto al corpo
dello squalo per parecchi minuti a parlare, poi
si ritirarono di qualche metro sulla spiaggia. Il
quadrupede si fermò più a lungo, ma non notò
lo strano occhio che seguiva tutti i suoi
movimenti. Poi qualcuno lo chiamò, e lui
corse via in direzione del richiamo.
I bipedi nuotavano con facilità. Entrarono tutti
nell’acqua e si misero a nuotare agevolmente,
con grande stupore dello straniero. Il
Cacciatore lo considerò un altro punto
favorevole, unito al particolare che,
nonostante la mancanza di branchie, potevano
restare a lungo sott’acqua. Questa
considerazione lo portò a pensare che forse
avrebbe potuto avvicinarli più facilmente nel
mare. Era evidente, dal loro comportamento
che le creature non vedevano molto bene
sott’acqua, ammesso che qualcosa vedessero,
perché a intervalli alquanto frequenti
sollevavano la testa sopra la superficie per
orientarsi. Il quadrupede poi aveva ancora
meno probabilità di vederlo avvicinarsi,
perché teneva costantemente la testa sopra il
pelo dell’acqua. L’azione seguì subito il
pensiero. Uno pseudopodo partì
all’avanguardia diretto verso l’acqua, due o
tre centimetri sotto la sabbia. L’occhio venne
mantenuto in funzione finché la maggior parte
del corpo gelatinoso ebbe percorso i quattro
metri di spiaggia, poi il Cacciatore ne formò
un altro, proprio sul limite dell’acqua, e
raccolse tutto il corpo dietro l’occhio.
Trascinarsi fra i granelli di sabbia era stato
alquanto seccante, e c’erano voluti parecchi
minuti per percorrere pochi metri.
L’acqua era limpida e ci si poteva vedere
bene attraverso. Il Cacciatore si modellò nella
forma di un pesce e nuotò verso i ragazzi il
più in fretta possibile, sperando che il suo
contatto venisse scambiato per uno spruzzo
d’acqua. Ma loro erano molto più svelti di lui,
e il Cacciatore non riuscì ad avvicinare
nessuno. Riflettendo su questa difficoltà il
Cacciatore cercò un altro mezzo d’approccio,
e notò allora una medusa che si lasciava
dondolare nell’acqua, secondo un’abitudine
della sua razza. A quanto pareva, i bipedi non
consideravano pericolose le meduse perché lì
attorno ce n’erano altre e i ragazzi non se ne
curavano.
Immediatamente il Cacciatore mutò la sua
forma copiando quella delle meduse. Era di
un colore leggermente più chiaro, ma poiché
anche quelle vere non erano tutte uguali nella
tinta, non se ne preoccupò e, dondolando
nell’acqua, si accostò lentamente alla zona in
cui giocavano i ragazzi. Pensò di avere avuto
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l’idea giusta perché arrivò accanto ad uno dei
bipedi senza provocare allarme. Era
abbastanza vicino da sperare di entrare in
contatto, e per la verità ci riuscì, ma si accorse
che il tegumento colorato che ricopriva una
parte del corpo dei ragazzi era un tessuto
artificiale. Poi non poté fare altro perché il
ragazzo scivolò su di un fianco e si allontanò.
Ma siccome non aveva dato segno di paura, il
Cacciatore ritentò una seconda volta. Stesso
risultato. Tentò di nuovo a turno con gli altri
bipedi, e ottenne solo il medesimo seccante
mezzo successo. Allora perplesso si portò ad
una certa distanza, e si mise ad osservare per
cercare di capire i motivi di quel fallimento.
Gli bastarono pochi minuti per rendersi conto
che per quanto quelle creature non avessero
paura delle meduse evitavano però con cura di
venirne a contatto. Aveva scelto la
mimetizzazione sbagliata.
Robert Kinnarid evitò istintivamente la
medusa. Aveva imparato a nuotare all’età di
cinque anni, e nei nove seguenti aveva avuto
modo di sperimentare di persona i dolorosi
effetti del contatto con i tentacoli delle
meduse, ragione per cui preferiva non venirne
toccato. Pochi minuti dopo, pressappoco nel
momento in cui il Cacciatore capì di avere
scelto la forma sbagliata, i ragazzi stanchi di
nuotare, tornarono sulla spiaggia. Lui li tenne
d’occhio mentre correvano su e giù,
impegnati in un gioco incomprensibile. Che
quei bipedi non stessero mai fermi? Come
diavolo potevano entrare in contatto con
creature così diabolicamente attive? Rimase a
guardare.
Finalmente i ragazzi si misero tranquilli sulla
spiaggia. Uno di loro si sedette con la faccia
rivolta all’oceano – Bob – disse, - a che ora
viene tua madre con la merenda?
Robert Kinnaird si distese supino al sole
prima di rispondere. – La mamma ha detto
alle quattro o alle quattro e mezzo. Ma
possibile che tu pensi sempre e soltanto a
mangiare?
Il ragazzo con i capelli rossi brontolò una
risposta confusa e si sdraiò sulla schiena, gli
occhi fissi sul cielo tornato del tutto sereno.
Un altro disse: - Peccato che tu debba partire
domani. Io non sono più andato sul continente
da quando i miei si sono trasferiti qui.
- Non ci si sta male – rispose Bob – A scuola
ci sono dei tipi simpatici, e d’inverno si può
andare a sciare, cosa che qui è impossibile.
Ma tornerò l’estate prossima.
La conversazione languì, e i ragazzi si
crogiolarono al sole, in attesa che la signora
Kinnarid arrivasse con la merenda. Bob era il
più vicino all’acqua. Gli altri si erano messi
più vicino alle palme, per potersi trasferire
rapidamente all’ombra, volendo. Il ragazzo
era già molto abbronzato ma voleva
approfittare il più possibile del sole, dato che
poi, per dieci mesi, non avrebbe più avuto
modo di godersi giornate così. Faceva caldo, e
nell’ultima mezz’ora si era stancato
parecchio. E non c’era nessuna ragione al
mondo perché dovesse stare meglio.
Il Cacciatore si mosse rapido. Il più vicino dei
ragazzi era a circa dieci metri dall’acqua, e
per coprire buona parte almeno della strada lo
straniero conservò la sfortunata forma di
medusa, che questa volta gli servì per arrivare
sino a tre metri dal ragazzo senza suscitare
reazioni. Del resto c’erano altre meduse
sparse indisturbate sulla sabbia.
Se qualcuno però avesse tenuto d’occhio
quella particolare vicino a Bob avrebbe notato
una sensibile diminuzione delle sue
dimensioni, diminuzioni che fino a un certo
punto sarebbe anche potuto sembrare il
naturale effetto del sole, ma avrebbe certo
cominciato a stupirsi nel vedere che
continuava a rimpicciolire e che alla fine
scompariva del tutto lasciando solo sulla
sabbia una notevole depressione che andava
dalla riva al punto in cui si era fermata.
Il Cacciatore tenne in funzione l’occhio
durante la maggior parte del suo sondaggio
sotto la sabbia, e finalmente incontrò qualcosa
che individuò subito come carne viva.
Essendo sdraiato sulla pancia, i piedi di
Roberto affondavano nella sabbia, e questo
permise al Cacciatore di agire senza emergere
alla superficie. Fu in quel momento che il
resto della medusa scomparve dalla spiaggia.
La penetrazione avvenne lentamente e
cautamente, su un fronte di parecchi
centimetri quadrati. Attraverso migliaia e
migliaia di pori, le ultramicroscopiche cellule
del cacciatore fluirono nel corpo dell’ospite
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prescelto, infiltrandosi fra le cellule della
pelle.
Il ragazzo dormiva sodo, ma il Cacciatore
lavorò ugualmente il più in fretta possibile
perché sarebbe stato un disastro se il piede si
fosse mosse mentre lui era penetrato solo in
parte. Con tutta la rapidità compatibile con la
prudenza, l’alieno fluì delicatamente lungo le
ossa e i tendili del piede e della caviglia, su
lungo i muscoli del polpaccio, rasente la
parete esterna dell’arteria femorale, in mezzo
ai sottili canali dell’osso dell’anca, attorno
alle giunture e attraverso altri vasi sanguigni.
Filtrò nel peritoneo, inavvertito e senza
causare danni, e finalmente tutta la massa
della forma di vita aliena si raggruppò nella
cavità addominale senza aver disturbato il
sonno del ragazzo. E lì, il Cacciatore riposò.
Questa volta, essendo arrivato dall’aria e non
dall’acqua, godeva di una riserva di ossigeno
più abbondante. Sarebbe passato un bel po’ di
tempo prima che dovesse attingere al suo
ospite per avere altro ossigeno. Sperava di
poter restare dov’era per un giorno intero, in
modo da studiare con precisione tutti i
processi fisiologici di quell’ospite,
sicuramente diverso da quanti ne aveva
conosciuti prima. Per il momento la creatura
dormiva, ma non avrebbe continuato a lungo.
Quegli esseri erano estremamente attivi.
Bob si svegliò come gli altri ragazzi sentendo
la voce di sua madre. La donna aveva portato
tutto in silenzi; la tovaglia, le bibite, i panini,
la frutta, i dolci. Poi chiamò: - Forma
ragazzi! Venite? – Per quanto invitata
cordialmente a restare a fare merenda con
loro, la signora Kinnarid non si fermò e
scomparve dietro le palme verso la strada. –
Cerca di essere a casa prima del tramonto! –
gridò a Bob, voltandosi un attimo.- Devi
ancora preparare le tue valigie, e domani
mattina dovrai alzarti presto. – Bob, la bocca
piena, fece cenno di si, e riportò subito
l’attenzione sulla tovaglia imbandita.
Dopo avere mangiato i ragazzi saltarono,
corsero, chiacchierarono e tornarono in acqua.
E alla fine, rendendosi conto che presto
sarebbe stato buio, dato che ai tropici la notte
segue immediatamente la scomparsa
dell’ultimo raggio di sole, s’affrettarono a
raccogliere la tovaglia e s’avviarono verso
casa.
Salutati a uno a uno i compagni davanti alle
rispettive abitazioni, Bob proseguì solo verso
casa sua. Provava, come sempre in quelle
occasioni, dispiacere e piacere insieme. Ma
quando arrivò a casa il piacere all’idea di
rivedere presto i compagni di scuola, aveva
superato il dispiacere di doversi separare dagli
amici delle vacanze, e lui fischiettava
allegramente.
Le valigie vennero preparate sotto la
diplomatica supervisione della madre, e alle
nove Bob era già a letto. Lui personalmente
pensava che fosse un po’ presto per andare a
dormire, ma non era ribellato perché aveva
imparato da piccolo che in certe circostanze è
conveniente obbedire.
Come aveva sperato, il Cacciatore riuscì a
restare in riposo fino a parecchio tempo dopo
che Bob si fu addormentato, ma era chiaro
che non avrebbe resistito un giorno interno.
Anche restando inattivo, il fatto stesso di
vivere consumava energie, e quindi ossigeno.
Alla fine si rese conto che la sua riserva si
stava esaurendo, e capì di doversi rifornire
prima che la situazione diventasse disperata.
Sapeva che l’ospite dormiva, ma non per
questo fu meno cauto. Non volendo disturbare
in nessun modo, il cuore che sentiva battere
appena sopra il diaframma, rimase dov’era:
riuscì però a trovare senza difficoltà, lì
nell’addome, una grossa arteria facile da
penetrare quanto ogni altra parte
dell’organismo umano esplorato fino a quel
momento. Con soddisfazione scoprì di poter
assorbire dai globuli rossi ossigeno sufficiente
alle sue necessità senza compromettere
l’afflusso nell’arteria. Controllò
scrupolosamente il particolare. Il suo
comportamento era adesso del tutto diverso
da quello che aveva tenuto mentre era nel
corpo del pescecane, perché adesso lui
considerava il ragazzo quale compagno
permanente per il periodo in cui sarebbe
rimasto sulla Terra, e…
Non fare niente che possa danneggiare il tuo
ospite.
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Non fare niente che possa danneggiare il tuo
ospite. Per gli appartenenti alla razza del
Cacciatore questa legge era sacra, e quasi
nessuno sentiva mai nemmeno il desiderio di
infrangerla. Infatti gli individui di quella razza
vivevano in termini di fraterna amicizia con
coloro che li ospitavano nel proprio corpo. I
pochi che facevano eccezione venivano
guardati con orrore. Era uno di questi
individui abbietti che il Cacciatore aveva
inseguito sulla Terra. E anche adesso era
importante che lui lo trovasse, se non altro per
proteggere la razza di quel pianeta dagli abusi
di quel essere irresponsabile.
Non fare niente che possa nuocere al tuo
ospite! All’arrivo del Cacciatore i globuli
bianchi contenuti nel sangue del ragazzo si
erano messi in agitazione. Lui aveva evitato
accuratamente il diretto contatto con loro, ma
anche nei tessuti connettivi ce n’erano a
sufficienza per creargli fastidi. Le cellule del
suo corpo non erano immuni dal loro potere
assorbente e solo un’estrema attenzione gli
aveva evitato seri danni. Ma non poteva
continuare così. Per prima cosa, presto
avrebbe dovuto dedicare ad altro la sua
attenzione, e secondariamente, un giochetto di
evasione, o di contrattacco, sarebbe sfociato
in un aumento di globuli bianchi, con
conseguenze disastrose per il suo ospite. Ma
in ogni caso bisognava calmare i leucociti. La
sua razza aveva elaborato un sistema per
risolvere il problema, ma ogni caso andava
studiato a fondo, specialmente quando si
trattava di creature non familiari. Dopo una
serie di esperimenti effettuati alla maggior
velocità possibile, il Cacciatore determinò la
natura della sostanza chimica che favoriva
l’invasione dei globuli bianchi, e scelta di
conseguenza un’altra sostanza chimica
presente nel sangue dell’ospite, vi espose a
una a una le proprie cellule.
Il provvedimento si rivelò efficace: i leucociti
smisero di dargli fastidio, e lui poté servirsi
delle grandi arterie per procedere
nell’esplorazione del corpo che lo ospitava.
L’esplorazione continuò cauta per ore e ore, e
anche quando il ragazzo si svegliò e riprese la
sua frenetica attività, il Cacciatore proseguì il
suo lavoro senza curarsi di guardare
all’esterno. Aveva un problema importante da
risolvere: distribuì per tutto il corpo del
ragazzo senza danneggiarlo minimamente e
trovare una adeguata fonte di cibo senza
compromettere la normalità dell’ospite se non
per un lieve aumento dell’appetito. Dovendosi
dedicare a questo problema non si poteva
occupare dell’altro. Il fatto di essere difeso
contemporaneamente da migliaia di leucociti
poteva far pensare che lui riuscisse ad
occuparsi di parecchie cose nello stesso
tempo, ma non era così. La sua azione contro
il leucociti era paragonabile all’impresa di un
uomo che parla mentre sale le scale. A poco a
poco il Cacciatore imparò tutto sul corpo
dell’ospite: dall’uso di ogni muscolo, alla
funzione di ogni ghiandola, all’utilità di ogni
organo. Fu solo dopo sessantadue ore dalla
sua penetrazione nel corpo di Roberto che il
Cacciatore si sentì sufficientemente sicuro
della sua posizione da dedicarsi a quello che
succedeva all’esterno.
E allora riempì con la propria sostanza tutti
gli spazi fra le cellule della retina del ragazzo,
come aveva già fatto con lo squalo. Alla fine
gli occhi di Roberto servirono molto di più al
Cacciatore che al suo proprietario, in quanto
lo straniero vedeva con tutta la retina e non
solo quello che il ragazzo guardava
direttamente. Poi si occupò dell’udito, e a
operazione conclusa, vedendo e sentendo
perfettamente, fu pronto a iniziare il
sondaggio del pianeta sul quale il destino
aveva fatto naufragare lui e la sua preda. Non
c’erano più motivi di ritardare le ricerche e la
distruzione del criminale che adesso si
aggirava libero su quel mondo. Cominciò ad
osservare e ad ascoltare.
Il punto di vista del Cacciatore era strano, per
un poliziotto, e aveva piuttosto le
caratteristiche del modo di vedere di un
astronauta il quale considera un pianeta solo
come un piccolo oggetto vagante nello spazio,
e ritiene concluse le sue ricerche con la
scoperta che l’oggetto è un mondo.
Ma bastò la prima occhiata all’esterno per
dare un rude colpo alla sua teoria. La scena
che gli si presentò alle retine evocava
l’interno cilindrico della sua astronave. Nel
cilindro c’erano diverse file di sedili, per lo
più occupati da bipedi umani. Di fianco
all’osservatore si apriva una finestra, dalla
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quale Bob stava guardando. Il primo sospetto
del Cacciatore venne subito confermato da
quello che si vedeva dalla finestra. Si
trovavano a bordo di un aereo, e viaggiavano
in una direzione che lo straniero non poté
giudicare. Cominciare le ricerche del suo
criminale? Prima doveva stabilire il
continente giusto!
Il volo durò molte ore, e probabilmente era
già iniziato da parecchio. Il Cacciatore si
diede da fare per inserire nella propria
memoria le caratteristiche delle terre sulle
quali l’aereo passava, per poter identificare
più tardi il percorso dell’apparecchio. Ma lui
stesso non credeva molto in queste possibilità.
Forse sarebbe stato più conveniente stabilire il
tempo, più che la posizione, in modo da
calcolare dove si trovava il suo ospite nel
momento in cui era penetrato nel suo corpo.
Comunque continuò a guardare il paesaggio.
Era un bel pianeta. Bellissimo. Montagne e
pianure, fiume e laghi, foreste e praterie che si
susseguivano in un’atmosfera cristallina o
velata da nubi. Anche la macchina sulla quale
stavano viaggiando meritava la sua
attenzione. Dal finestrino non ne poteva
vedere granché, solo un pezzo di ala metallica
davanti alla quale l’aria si muoveva
rapidissima in modo rotatorio. Ritenendo,
secondo la logica, che l’aereo fosse
simmetrico il Cacciatore pensò che i motori
che facevano ruotare l’aria dovevano essere
quattro. Ma non poté definire la potenza
perché probabilmente la cabina nella quale
viaggiavano era antiacustica. Comunque la
macchina dimostrava che la razza dei bipedi
aveva raggiunto un alto grado di progresso
meccanico. Questa considerazione gli fece
venire in mente che forse valeva la pena di
entrare in contatto diretto col suo ospite per
richiederne la collaborazione.
Passò parecchio tempo prima che l’aereo
cominciasse a diminuire di quota. Anche
quest’ultima parte di viaggio avvenne senza
scosse come il resto,e il Cacciatore ne
dedusse che: o i piloti bipedi erano bravissimi
o i loro mezzi meccanici erano addirittura
portentosi. Quando l’aereo, sbucato da un
fitto banco di nubi, compì un ampio giro
prima di effettuare l’atterraggio vero e
proprio, il Cacciatore vide una immensa città
costruita attorno ad un porto fitto di navi.
E finalmente Roberto sbarcò. Nell’avviarsi
alla vasta costruzione che sorgeva da un lato
della pista, Roberto si voltò a guardare
l’aereo, e il Cacciatore poté vedere la
macchina in tutta la sua potenza.
Osservandola attentamente ne arguì che
doveva essere in grado di compiere almeno
mezzo giro del pianeta senza scendere a
rifornirsi di carburante. Compite le formalità
di sbraco Roberto salì su di un autobus per un
altro pezzetto di viaggio, senza però uscire
dalla città, poi scese consegnò ancora le sue
valigie, camminò per le strade, entrò in un
cinema dove il Cacciatore si divertì a seguire
il film, poi tornò alla stazione degli autobus,
riprese le valigie e salì su un altro pullman
che li portò fuori dalla città e dopo alcune ore
li depositò ai piedi di una collina, in un punto
da dove partiva un bel viale in salita,
fiancheggiato da aiuole e alberi. Alla fine del
viale c’era una costruzione. Lo straniero sperò
ardentemente che almeno per quel giorno il
viaggio fosse finito. Per una volta tanto le sue
speranze non andarono deluse: quell’edificio
era la scuola di Roberto Kinnarid. Il ragazzo
si presentò in direzione, si fece assegnare una
stanza, andò a depositarvi le valigie, le
svuotò, poi corse a salutare tutti i vecchi
compagni. Il Cacciatore continuò a osservare
e ascoltare, cercando di capire il significato
delle parole che sentiva pronunciare, ma non
gli fu facile perché per lo più i discorsi
vertevano sulle vacanze e mancavano i
riferimenti visibili che servissero da contesto.
Comunque riuscì a imparare alcuni nomi
degli amici del suo ospite. Dopo un paio d’ore
d’ascolto attento, pensò che avrebbe fatto
bene a risolvere il problema del linguaggio,
dato che per il momento non poteva occuparsi
della sua mansione ufficiale. Se fosse riuscito
a capire la lingua parlata dai bipedi, avrebbe
potuto rendersi conto di quando il ragazzo
sarebbe tornato nel posto in cui era avvenuto
il loro incontro. Fino a quel giorno il
Cacciatore non poteva fare niente per
localizzare ed eliminare il criminale ricercato.
Il Cacciatore spese le ore che Roberto dedicò
al sonno a riorganizzare nel suo cervello le
摘要:

1STRISCIAVANELLASABBIAAnchesullaTerraleombreservonoottimamenteachicercaunnascondiglio.Certodoveattornoalleombrec’èmoltaluce,lezonescuresaltanosubitoall’occhioeilriverberopenetra,maselaluceintornononèmoltoforte,chiintendanascondersipuòmettersinell’ombradiventandopressochéinvisibile.OltrelaTerra,doven...

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Classico F S Urania Completo Strisciava Sulla Sabia.pdf

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