Lucius Shepard - Solitaire Station

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Lucius Shepard
Solitarie Station
(Barnacle Bill, the Spacer, 1992)
Traduzione di Anna Monaldi
Il modo in cui va il mondo, non i grandi avvenimenti di un'epoca, ma le
cose ordinarie che ci rendono quelli che siamo: l'atroce incidente che è la
nostra nascita; le banali lussurie che per capriccio o per questione
d'orgoglio si trasformano in complesse tragedie d'amore; la crudeltà di ogni
cambiamento; la folle dolcezza delle altre anime che intersecano le orbite
delle nostre vite, viaggiano insieme a noi per un po', lungo la stessa rotta,
quindi deviano allontanandosi nell'oblio, senza lasciarci nemmeno una
forma definita su cui riflettere, una traccia facilmente comprensibile da
cui trarre un'illuminazione... Spesso mi chiedo come mai, dato che le storie
sono inventate con materiali di questo tipo, il narratore sia generalmente
indotto ad addolcire il crudo fetore della vita, parlando di nobile sacrificio
invece che di perdita dolorosa, riducendo ciò che è tremendo a una semplice
malinconia. La maggior parte delle persone, suppongo, vuole che la verità
venga condita da un pizzico di sentimentalismo. La pericolosa incertezza del
mondo è per loro fonte di sgomento, e per questo desiderano evitare di
esservi posti di fronte con durezza. Tuttavia con questa propensione alla
fuga si dimenticano della profonda tristezza che può sorgere dalla
contemplazione dello spirito umano in extremis, e si rendono ciechi al
bello. A quella bellezza, voglio dire, che è il nucleo della nostra esistenza.
La bellezza che entra attraverso una ferita, che ci sussurra una parola oscura
all'orecchio durante un funerale, una parola che ci induce a stringerci nelle
spalle davanti alla debolezza della nostra afflizione e a dire "No, mai più".
La bellezza che ispira collera, non rimpianto, e che provoca conflitto, non
l'estetica indolente del contemplatore: tutto questo, secondo me, giace al
fondo di ogni storia che valga la pena di raccontare. Ed è questo lo scopo
fondamentale del mestiere di narratore, portare alla luce tale bellezza,
affermare la sua fondamentale importanza e farla brillare traendo spunto dal
naufragio inevitabile delle nostre speranze e dalla miseria del nostro
declino.
Questa, quindi, è la storia più bella che conosco.
Tutto accadde non molto tempo fa a Solitaire Station, oltre l'orbita di
Marte, dove le navi-luce vengono montate e lanciate, disperdendosi in scie
lunghe migliaia di chilometri, e accadde a un uomo di nome William
Stamey, altrimenti conosciuto come Bill, lo scocciatore.
Aspettate, molti di voi staranno pensando: "Ho già sentito questa storia.
Ci è già stata raccontata un milione di volte: che senso ha ripeterla?"
Ma cosa avete sentito, in realtà?
Che Bill fosse un ragazzo dolce e sciocco, posso immaginarlo. E posso
immaginarmi anche che abbiate sentito che fosse un tipo spensierato, con la
scintilla dorata del Creatore nel petto e negli occhi l'aspetto ispirato di colui
che vede l'avvenire, un amico per tutti quelli che lo conoscevano. E che
fosse un eletto e non un ritardato, un lunatico e non uno sconsolato, uno
sfortunato piuttosto che un profanato, un tormentato, o uno verso il quale si
è peccato.
Se questo è il caso, allora fareste bene a prestare attenzione, poiché in Bill
c'era tanto l'uomo quanto il ragazzo, nessuno dei due spensierato come
dicono, e le cose che ha fatto e come le ha fatte sono in definitiva meno
importanti di ciò che lo ha mosso a farle, e questo riflette la povertà
spirituale e la disperazione del nostro tempo.
Di tutto questo, sospetto, non avete sentito praticamente nulla.
Al tempo della mia storia, Bill aveva trentadue anni: era un tipo
dinoccolato, trascurato, con un pessimo odore e i segni di una calvizie
incipiente, con una faccia stupida tipo luna piena i cui tratti - occhi azzurri e
scialbi, bocca incurvata come l'arco di Cupido e naso camuso - erano
troppo piccoli rispetto all'insieme, e ne lasciavano vuota una larga parte.
Aveva sempre le mani sporche e la tuta d'ordinanza della stazione cosparsa
di macchie. Raramente girava senza una piccola borsa di tela nella quale
portava, tra l'altro, un tesoro nascosto di caramelle e cristalli pornografici in
RV. Era la sua predilezione per le caramelle e la pornografia che ci metteva
a contatto di frequente. La donna con cui vivevo, Arlie Quires, gestiva
l'ufficio approvvigionamento al quale Bill doveva recarsi per rifornire le
sue scorte e dove occasionalmente, quando i miei doveri alla sezione di
Sicurezza me lo consentivano, davo una mano al bancone. Bill preferiva che
fossi io a servirlo: capite, era intimidito da chiunque incontrasse, ma
soprattutto dalle ragazze carine. E Arlie, bruna, flessuosa e dall'aria sveglia,
non solo era carina, ma aveva una lingua tagliente che lo metteva ancora di
più in difficoltà.
Ci fu un episodio in particolare che potrebbe servirci per illustrare qual
era la condizione di Bill e fornire un antefatto per tutto quello che in
seguito si sarebbe verificato. Accadde un giorno, sei mesi prima del ritorno
della nave-luce Perseverance. Era appena cambiato il turno sulle
piattaforme di assemblaggio, e il bar dello spaccio era pieno di operai. Arlie
era scappata via da qualche parte, lasciando me al suo posto, e dalla mia
posizione dietro il bancone - situato in un'anticamera con tavoli di metallo e
sedie tutte vuote in quel momento, le cui pareti erano coperte dal fotomural
olografico di un cielo azzurro sulle ormai defunte distese dell'Alaska -
potevo vedere delle luci colorate fluttuare avanti e indietro all'interno del
bar e udire i ritmi insistenti di un gruppo techno.
Bill, come era sua abitudine, fece capolino dal corridoio per essere sicuro
che non ci fosse nessuno dei suoi nemici, quindi entrò con passo strascicato,
gettando occhiate a destra e a sinistra, abbassando la testa e incurvando le
spalle: il tipico modo di fare del tipo colpevole. Mi fece vedere il suo
contasoldi, con tre spie verdi che scintillavano sull'affilato cilindro di
metallo, indicando la somma di credito che era in procinto di rilasciare allo
spaccio, e chiese con la sua stridente voce nasale che gli dessi della "roba
nuova", intendendo con questo dei nuovi cristalli in RV.
- Non ho niente di nuovo per te - gli dissi.
- È arrivata una nave. - Mi lanciò un'occhiata feroce e sospettosa. - L'ho
vista. Ero fuori e l'ho vista!
Quella mattina Arlie e io avevamo litigato, una insignificante divergenza
di opinioni riguardo il diritto di usare per primi le linee riservate per parlare
coi parenti a Londra, linee di solito particolarmente sovraccariche. Di
conseguenza, non avevo il minimo desiderio di imbarcarmi in conversazioni
di questo tipo. - Non fare lo stronzo - dissi, - lo sai che non hanno ancora
sbarcato il carico.
Il sospetto nello sguardo sospettoso di Bill vacillò, ma non scomparve. -
Hanno già scaricato - disse. - Le slitte andavano avanti e indietro. - I suoi
occhi si persero per un istante e la testa prese a oscillargli, come se stesse
immaginando di essere ancora fuori sulla superficie della stazione, a
guardare le slitte entrare e uscire dai portelloni di carico; invece stava
fissando, mi accorsi, una sezione del mural olografico nella quale un orso
bruno era appena uscito a passo lento dai boschi e annusava una pila di rami
e tronchi di alberi giovani, posta sul bordo di un ruscello, che avrebbe
potuto essere la diga di un castoro. Anche se non ne aveva mai visto uno, gli
animali affascinavano Bill, e se si trovava a non aver niente di importante da
dire, si metteva a blaterare di giraffe ed elefanti, canguri e balene, e bestie
persino più esotiche, tutte ormai esistenti solo nelle leggende.
- 'Fanculo! - dissi. - Anche se hanno scaricato, tra operazioni e inventario,
ci vorrà una settimana o più prima che vediamo la merce. Se vuoi qualcosa
in particolare, dammi un ordine specifico. Non bighellonare fin qui a dirmi -
cercai di imitare la sua pronuncia, - "dammi della roba nuova".
Due uomini e una donna erano entrati dal corridoio proprio mentre
parlavo; si misero in fila, tenendosi a una buona distanza da Bill, e quando
sentirono che lo rimproveravo mi guardarono, facendomi sapere con dei
sorrisetti di complicità che erano d'accordo con l'asprezza della mia
risposta. Mi fecero vergognare di avergli urlato contro.
- Ascolta - dissi sapendo che Bill non sarebbe mai stato in grado di
cavarsela in una situazione come quella. - Posso sceglierti qualcosa io?
Forse riesco a trovarne uno o due che ancora non hai visto.
Chinò la grossa testa e annuì, con bovina sottomissione. Da come si
muoveva si capiva che avrebbe voluto voltarsi a controllare se le persone
intorno avessero assistito alla sua umiliazione, ma che non riusciva a farlo.
Fremeva e si contorceva come se quegli sguardi lo pungessero, con le mani
strette al bordo del bancone, le dita quasi tutt'uno con la superficie levigata.
Quando tornai dal magazzino, diverse persone erano entrate dal corridoio
e una mezza dozzina di uomini e donne bighellonavano vicino all'ingresso
del bar, ridendo e parlando.
Tra di loro c'era Braulio Menzies, forse il più zelante tra i tormentatori di
Bill, un uomo alto, tendente alla calvizie, dal colorito giallastro, con i
capelli neri e unti e le spalle strette, degli immensi avambracci e una
mefistofelica barbetta caprina sale e pepe che conferiva ai suoi tratti
generosi un aspetto decisamente minaccioso.
A San Paolo aveva lasciato sette figli, una moglie e una madre per
prendere il posto di caposquadra responsabile di unità metallurgiche, e la
parte migliore della sua paga veniva mandata alla famiglia, lasciandogli
poco da spendere in divertimenti. Se beveva, ed era evidente che lo faceva,
non riuscivo a immaginare nessun altro motivo per farlo se non le notizie da
casa. E siccome non sembrava essere d'umore allegro, probabilmente le
notizie non erano buone.
Nella stanza l'ostilità era palpabile come un profumo a buon mercato.
Bill era ancora in piedi, con la testa abbassata e le mani strette al bancone,
ma non manteneva più quell'atteggiamento passivamente: si era fatto rigido,
il collo teso, le dita premute sulla plastica, riconoscendosi come il bersaglio
di ogni bisbiglio di disprezzo e di ogni risata maliziosa. Sembrava sul punto
di esplodere, da quanto si tratteneva. Braulio lo fissava con disgusto non
dissimulato e, non appena posai sul bancone la merce per Bill, la bionda
pelle e ossa che se ne stava appiccicata al braccio di Braulio canticchiò: Non
può avere una donna, perlomeno una donna umana, perché lui è Bill e
non ha la mente sana.
Vi fu un generale scoppio di risa, e il volto di Bill si fece rosso; un suono
deforme e rotto gli uscì dalla gola. La ragazza, coi seni minuscoli che
uscivano per metà da un succinto vestito di plastica blu luminosa, continuò
a cantare la sua canzoncina crudele.
- Oh, davvero brillante! - dissi. - La creatività della mente non cessa mai
di stupire! - Ma il mio sarcasmo non le fece alcun effetto.
Spinsi verso Bill tre cristalli RV e due manciate di caramelle dure, le sue
preferite. - Ecco - dissi, facendo del mio meglio per dare un tono gentile alla
voce, cercando allo stesso tempo di fargli capire qual era la situazione. -
Ora però non startene qui impalato.
Ebbe un fremito. Le sue palpebre si aprirono tremando, e sollevò lo
sguardo per incontrare il mio. La sua espressione era dominata dalla rabbia,
che gli induriva i banali contorni del volto. Aveva bisogno della rabbia,
supposi, per conservare un qualche misero senso di dignità, per sfuggire al
terrore che cresceva in lui, e non aveva il coraggio di affrontare nessun
altro.
- No! - esclamò, colpendo le caramelle col palmo della mano,
sparpagliandone la maggior parte sul pavimento. - Mi hai imbrogliato,
dammene di più, me ne devi di più.
- Sarà meglio che ti facciamo vedere la strada, babau! - disse un uomo di
colore, sporgendosi da sopra la spalla di Bill. - Così viaggi meglio! - Altri
gli fecero eco, e uno spinse Bill verso il corridoio.
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Gli occhi di Bill erano fissi sui miei. - Mi hai imbrogliato. Dammi
dell'altra roba! Me ne devi di più!
- Perfetto! - dissi, mentre la mia calma spariva. - Sono un essere umano
totalmente disonesto. Vivo per raggirare gli stolti come te. - Aggiunsi poche
caramelle alla pila e cercai di mandarlo via. Braulio venne avanti,
ondeggiando, con gli occhi non troppo limpidi. - Lascia che quel figlio di
puttana resti - esclamò con la voce impastata dalla rabbia. - Voglio
parlargli.
Venni fuori dal bancone e mi misi tra Braulio e Bill. Le mie azioni non
erano dovute a qualche forma di affetto per Bill: anche se non avevo niente
contro di lui, non gli volevo nemmeno bene; credo che lo avessi sempre
considerato più come un problema fastidioso che come una persona. In
parte ero ancora motivato dalla rabbia che mi rimaneva per la lite con Arlie,
e naturalmente come agente della Sezione di Sicurezza era mio dovere
mantenere l'ordine. Ma penso che la ragione effettiva per cui lo difesi fu che
ero annoiato. Tutti a Solitaire eravamo annoiati. Annoiati, di cattivo umore
e disperati, afflitti da quella sorta di febbrile malessere che viene dal senso
di futilità.
- Basta così - dissi seccato a Braulio. - Basta tutti quanti. Andate a farvi
fottere fuori di qui.
- Io non voglio farti male, John - replicò Braulio, barcollando un po'
mentre tentava di mettermi a fuoco. - Basta che ti levi dai piedi.
Un paio di suoi colleghi gli si misero al fianco. Erano Jammer, pirati
dell'etere, con protuberanze argentee che spuntavano dal taglio d'ordinanza:
l'estremità di ricevitori che convogliavano radioonde, energia solare e
segnali di ogni tipo nei vari centri cerebrali, producendo una cinestesia
euforica. Avevo un'avversione filosofica verso il jamming, senza dubbio il
parziale risultato di qualche riflesso cristiano che mi era rimasto, e vederli
aumentò la mia irritazione.
- Voi cafoni siete sintonizzati su un canale che non esiste più - dissi. -
Nessuno si salva in extremis, oggi. Niente lieto fine.
I Jammer si sorrisero l'un l'altro. Dio solo sa quale folle suono stonato
fosse responsabile del loro senso di benessere. Anch'io sorrisi. Poi presi il
più vicino a calci in testa, cercando di centrare la sua protuberanza
d'argento, ma la mancai; in compenso, colpii quella del suo amico con un
rovescio ben piazzato. Rimasero a terra immobili, col sorriso ancora sulle
labbra.
Forse, pensai, il jamming aveva convertito la batosta in una passeggiata
nel parco. Braulio fece un passo indietro e assunse una posizione difensiva.
Gli spettatori si allontanarono pian piano. Il rumore della musica
proveniente dal bar sembrava sottolineare la tensione presente nella stanza.
Avevo bisogno di sfogarmi, ma non me la sentivo di vedermela con
Braulio: anche da ubriaco sarebbe stato un ottimo combattente, e in ogni
caso, per quanto avessi voglia di ferire qualcuno, fra i miei doveri c'era
anche quello di esercitare l'autocontrollo.
- Violenza - dissi, adottando un comico accento dei quartieri bassi, nella
speranza di rendere meno infuocata la situazione. - Il pane quotidiano di
tutti i poveracci. Me lo diceva sempre anche mio padre: "Figliolo" faceva
lui "quando sei fuor di ragione e tua moglie si è succhiata tutto lo sherry da
cucina, ti basta andare con calma giù al pub e pisciare in faccia a qualcuno".
Non c'è nulla di tanto dolcemente logico quanto un gomito nella gola,
nessun argomento tanto commovente quanto frantumare i denti di qualcuno
sotto il calcagno. Lo stesso spaccarsi delle ossa è un linguaggio filosofico.
E quando hai nobilitato il naso di qualcuno con un bello sfregio, gli fornisci
una bella predica da leggere ogni volta che si guarda nello specchio.
Aristotele, Platone, Einstein: tutte le grandi menti hanno cominciato
azzuffandosi in pubblico. Pugni all'inguine. Gomiti alla gola. Sono questi,
spesso, i primi passi verso l'espressione dei più sottili concetti matematici.
È una fantastica esperienza intellettuale quella in cui ci stiamo imbarcando
qui, e io per primo, signore e signori, sono esaltato al pensiero della sfida.
Gli spettatori sembrarono rilassarsi, e ci fu anche qualche risolino
soffocato. Solo Braulio rimase teso, gli occhi inchiodati su Bill.
- Tutto questo è ridicolo - gli dissi. - Andiamo, amico, fammi il favore e
piantala.
Scosse piano la testa, goffamente, come un orso infastidito da un'ape.
- Qual è il problema, amico? - Feci un cenno a Bill. - Lui vuole
solamente sparire. Perché non lo lasci fare?
- Com'è che difendi quel pezzo di merda malriuscito? - strillò la bionda. -
Te lo sbatti dietro il bancone?
- Non ricordo bene come ti chiami, tesoro - dissi. - Tarantola, vero?
Dovresti darle da mangiare più spesso, Braulio. Un paio di mosche in più al
giorno dovrebbero renderla più docile.
Ignorai le sue maledizioni e osservai le spalle di Braulio; quando quella
destra si abbassò di una frazione di millimetro, tentai un calcio
semicircolare; ma lui scartò sotto e dondolò via, assumendo la posizione
fluida e ondeggiante di un capoeirista. Ci girammo intorno l'un l'altro, in
cerca di un'apertura. La folla ci fece spazio. Poi qualcuno - Bill, penso - mi
finì addosso. Braulio iniziò quella che sembrava una capriola laterale, ma,
non appena si poggiò sulla mano nel mezzo del movimento, la sua lunga
gamba sinistra scattò in fuori come una frustata, e mi colpì di striscio alla
tempia. Stordito, traballai allindietro, presi un colpo ancor più forte sul lato
del collo e sbattei contro il bancone. Se Braulio fosse stato sobrio per me
sarebbe già stata la fine; ma era lento a seguire i colpi, e, come si mosse
verso di me, gli mollai un calcio al fegato.
Indietreggiò e io gli piazzai un ginocchio in faccia, quindi gli spostai le
gambe con uno sgambetto. Cadde di brutto, e io gli fui sopra, senza usare
più la tecnica, ma colpendolo freneticamente coi pugni come un ragazzo di
strada, sfogando tutta la mia rabbia repressa. Qualcuno mi stava graffiando
il collo e la faccia. La bionda. Urlava e singhiozzava: - No, no, basta, lo
ammazzi.
Quindi qualcun altro mi afferrò da dietro inchiodandomi le braccia, e vidi
quello che avevo combinato. Lo zigomo di Braulio era sfondato, un occhio
chiuso dalla tumefazione, il labbro superiore ridotto a una poltiglia.
- Era solo infelice, amico! - La bionda gli cadde in ginocchio vicino. -
Tutto qui! Infelice per i suoi figli! - Le sue mani esploravano il viso di
Braulio. La maggior parte dei presenti se ne stava senza espressione, muta,
come se la vista della violenza avesse attenuato il loro risentimento.
Mi liberai con uno strattone dell'uomo che mi teneva.
- Fottuto stronzo della Sicurezza! - disse la bionda. - Era solo infelice.
- Non me ne frega un accidente di quello che era. Nessuna legge dice... -
facevo fatica a respirare - dice che in questo modo smette di soffrire. C'è
forse?
Questa la gridai a quelli che stavano a guardare, e malgrado qualcuno si
rifiutasse di incontrare i miei occhi, da molti ricevetti cenni e brontolii
d'assenso. A loro non importava nulla del destino mio o di Braulio:
volevano soltanto vedere a che punto saremmo arrivati. Ma ora
comprendevo che qualcosa era accaduto ai figli di Braulio, e comprendevo
pure perché aveva scelto Bill per fargli prendere il posto dei veri colpevoli,
e in cuor mio mi pentii di quello che avevo fatto.
- Portatelo all'infermeria - dissi, e poi feci un gesto in direzione dei
Jammer, che erano ancora a terra, occhi chiusi, sorriso stampato sulla
faccia. - Anche loro. - Mi misi una mano sul collo: mi era venuto un
rigonfiamento sotto l'orecchio destro, e pulsava davvero tanto.
Bill si mosse per venirmi accanto, stringendo forte la sua piccola sacca di
tela. Il suo odore, la sua tranquillità e i suoi modi saccenti, ogni
sfaccettatura del suo essere mi infastidiva. Pensai che fosse sul punto di dire
qualcosa, ma non desideravo sentirla; allora vidi in lui quello che Braulio
doveva aver visto: una grassa e tozza mostruosità inutile con due gambe.
- Fuori di qui! - urlai, disgustato da me stesso per essere intervenuto in
sua difesa. - Tornatene nel tuo maledetto buco e restaci.
Le sue spalle ebbero uno scatto come se si aspettasse un colpo, e
cominciò a farsi strada a spintoni tra la folla accalcata alla porta. Soltanto
prima di andarsene lungo il corridoio, si voltò. Credo che volesse ancora
dire qualcosa, forse per ringraziarmi o, più probabilmente, per avere l'ultima
parola sulla merce che gli avevo portato. Sulla sua faccia si poteva scorgere
un misto di paura e di provocazione petulante, ma questo non mi dava alcun
indizio sulle sue intenzioni. Era la sua usuale espressione, un'espressione
che ci erano voluti trentadue anni per produrre, poiché, a causa della sua
vita passata, aveva buoni motivi per essere sia spavaldo che spaventato.
La madre di Bill era un tecnico medico assegnato alla stazione dalla
Seguin Corporation, proprietaria del contratto di sviluppo per il programma
delle navi-luce, e quindi, quando il suo esame prenatale mostrò la presenza
di un feto gravemente ritardato, poté usare la sua posizione per alterare le
registrazioni del computer allo scopo di mascherare i risultati; perché
altrimenti, secondo le leggi della stazione - in pratica le leggi della società -
avrebbe dovuto abortire.
Perché si fosse comportata così, e perché diciassette mesi dopo la nascita
di Bill si fosse suicidata, rimane un mistero, anche se si suppone che i suoi
atti irrazionali fossero dovuti alla possibilità che il padre di Bill, un colono
a bordo della nave-luce Perseverance, non avrebbe più fatto ritorno.
La scoperta che Bill era ritardato suscitò un'accanita discussione. Un
gruppo consistente dei lavoratori della stazione insistette perché il neonato
fosse ucciso, asserendo che, siccome la vita nello spazio era un premio,
permettere a quella creatura senza valore di sopravvivere sarebbe stato un
affronto a tutti quelli che avevano fatto grandi sacrifici personali per venire
a Solitaire. Questo gruppo era formato principalmente da coloro le cui vite
erano state fortemente modificate dal sistema di quota, o da coloro il cui
compito era quello di mantenerlo: donne senza figli, amministratori e (la
maggior parte del gruppo e della popolazione in generale) persone che,
come Braulio, avevano vinto un lavoro a bordo della stazione, ed erano
riuscite in questo modo a sfuggire alla schiacciante povertà e
all'inquinamento della Terra, ma il cui ruolo non era così importante da
permettere loro di portare con la famiglia, e che, quindi, avevano dovuto
abbandonarla. A questo gruppo si opponeva una rumorosa minoranza
composta da coloro le cui posizioni filosofiche o religiose non avrebbero
consentito un atto di violenza così cieca.
Tuttavia quella minoranza, ne sono convinto, rappresentava più che altro
un'istanza fondata quasi interamente sul principio, e dubito che molti suoi
sostenitori fossero entusiasti di Bill in particolare.
Lontano dalla disputa c'era un gruppo considerevole che, per varie ragioni
sociali e politiche, si mantenne neutrale; tuttavia si poteva arguire che
almeno metà di loro, se interrogati, avrebbero espresso il proprio
disinteresse per la questione della sopravvivenza di Bill.
Scazzottate e gare di strilli divennero presto all'ordine del giorno.
Venivano indette riunioni, fatte domande, presentati ultimatum. Infine,
comunque, non furono la politica o le minacce di ricorrere alla forza o gli
appelli alla ragione a sistemare la questione, ma piuttosto una decisione
societaria.
Tra le enormi proprietà della Seguin c'era una compagnia che forniva a
varie industrie e agenzie di governo degli animali evoluti, che venivano
utilizzati in ambienti naturali ritenuti troppo stressanti o che avrebbero
messo a dura prova il fisico dei lavoratori umani. La difficoltà con questo
tipo di animali stava nel mantenerne il controllo: le nuove nano-tecnologie
erano considerate inaffidabili e troppo dispendiose, e gli innesti
computerizzati, seppure pratici, finivano sempre per rivelarsi dei fallimenti.
C'era un certo numero di programmi di ricerca in corso il cui fine era quello
di perfezionare gli innesti, e quindi la Seguin, vedendo l'opportunità di un
test rigoroso, per non menzionare la discreta possibilità per le PR di mettere
in evidenza le preoccupazioni profondamente umanitarie della società,
decise - rovesciando la tradizionale metodologia scientifica - di provare su
Bill un nuovo innesto che in seguito avrebbe potuto essere usato per
governare il comportamento di scimpanzè, cani e simili.
L'innesto, un disco di lega nero delle dimensioni all'incirca di un cracker
di soia, conteneva una personalità predisposta per intrattenere il suo ospite,
divertirlo e conversare con lui; fu innestato proprio sotto la pelle dietro
l'orecchio, e controllava i livelli emozionali, stimolando l'attività
appropriata tramite cariche elettriche in grado di elargire sia piacere che
dolore. A sentire Bill, l'impianto si faceva chiamare Mister C, ed era -
sempre secondo Bill - il suo migliore amico, malgrado il fatto che gli
facesse male quando era lento a obbedire ai suoi comandi. Io capivo sempre
quando Mister C stava parlando: la faccia di Bill si svuotava, e i suoi occhi
dardeggiavano in giro come se tentassero di vedere chi fosse a parlare, e le
sue mani si aprivano e chiudevano. Non era una cosa piacevole a vedersi.
Eppure supponevo che Mister C fosse per Bill, malgrado tutto, quanto di
più vicino a un amico potesse avere. Di certo era molto premuroso e non
era mai troppo occupato per fare due chiacchiere; e, cosa più importante, lo
metteva in grado di compiere gli umili servizi che gli venivano assegnati:
mansioni da custode, da fattorino e, una volta che ebbe raggiunto l'età di
quindici anni, il lavoro che infine gli fece guadagnare il nome di Bill il
ritardato. Ma nulla di tutto questo mitigò l'avversione nei suoi confronti che
predominava in tutta la stazione, un sentimento che si fece più pronunciato
in seguito all'incidente con Braulio. Due dei figli di Braulio vennero uccisi
da uno squadrone della morte che li aveva scambiati per membri di una
gang, e questa tragedia fece che le persone cominciassero a parlare
dell'ingiustizia che permetteva a Bill di condurre un'esistenza così
privilegiata mentre altri più degni dovevano essere condannati all'inferno
sulla Terra. Poco tempo dopo, la questione della condizione di Bill venne di
nuovo sollevata, e la cosa fu montata da Menckyn Samuelson, uno dei capi
spirituali di Solitaire e - per mia vergogna, poiché era un essere spregevole -
un londinese come me. Samuelson era emigrato alla stazione come fisico
delle basse temperature e da allora si era insinuato in una posizione
d'importanza nell'amministrazione. Non capivo cosa ci guadagnasse nel
perseguitare Bill - aveva, immaginai, un progetto politico nascosto - ma
tirava fuori quel discorso in ogni occasione e con chiunque avesse voglia di
starlo a sentire, e riusciva a fomentare un atteggiamento fortemente
negativo nei riguardi di Bill. L'opinione pubblica finì per trovarsi quasi
egualmente divisa tra la scelta di giustiziarlo, ufficialmente o meno, o di
rispedirlo in una clinica sulla Terra, il che - come tutti sapevano - era
soltanto la prima opzione messa in una forma più lenta e costosa.
Il mio scontro con Braulio provocò anche un ulteriore sviluppo che ebbe
un intenso effetto sulla mia vita personale, e cioè che Bill e io
cominciammo a passare un bel po' di tempo assieme.
Sembrava che fosse entrato in azione il vecchio proverbio cinese, quello
che dice che se salvi la vita di qualcuno ne diventi responsabile. Non avevo
salvato la sua vita, forse, ma gli avevo risparmiato pesanti ferite; così
cominciò a vedermi come il suo protettore, e io... bene, inizialmente non
desideravo essere il suo protettore quello che lo giustificava, ma
dovetti per forza adottare quei ruoli. Bill viveva nel terrore. Dovunque
andasse veniva maledetto, preso a scapaccioni o maltrattato in qualche
maniera, con un drastico e progressivo aumento degli abusi di cui aveva
sempre sofferto. E poi c'era la canzone della ragazza bionda... perché lui è
Bill e non ha la mente sana. Raramente passava giorno che non sentissi
uno o due versi nuovi. Tutti ne scrivevano. Ogni volta che Bill passava per
un corridoio o entrava in una stanza la gente cominciava a cantare. Quella
canzone lo seguiva da un posto all'altro. Si svegliava e si addormentava con
quell'accompagnamento, e il suo amor proprio si era ben presto ridotto in
摘要:

LuciusShepardSolitarieStation(BarnacleBill,theSpacer,1992)TraduzionediAnnaMonaldiIlmodoincuivailmondo,nonigrandiavvenimentidiun'epoca,malecoseordinariechecirendonoquellichesiamo:l'atroceincidentecheèlanostranascita;lebanalilussuriechepercapricciooperquestioned'orgogliositrasformanoincomplessetragedi...

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