K. W. Jeter - Dr Adder

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K.W. JETER
DR. ADDER
(Dr. Adder, 1984)
Anch'io sono favorevole a che la vostra rivista ospiti immagini di donne mutilate. Le donne con un
braccio solo e soprattutto quelle con una sola gamba offrono un'eccitazione unica, e un servizio
fotografi-co con delle belle ragazze mutilate sicuramente sarebbe gradito a mol-ti lettori...
da una lettera inviata
alla rivistaPenthause
(novembre 1972)
PROLOGO
C'è solo una cosa che ricordo molto bene di quand'ero bambino, forse a causa di tutto il trambusto che
provocò all'epoca. Mi trovavo davanti alla porta d'ingresso dell'asilo, tutto intento ad aprire dei lombrichi
con un paio di forbici così grandi che per impugnarle dovevo usare entrambe le mani. Come al solito,
c'era un gran caldo, secco e nebbioso, me lo ricordo ancora adesso.
Era da un bel po' che la maestra mi stava cercando, aveva un'aria decisamente esasperata. Mi sollevò di
peso e mi tolse le forbici. Mi portò in una stanza che aveva una targhetta sulla porta con sopra scritto 4
ANNI. Mi mise a sedere davanti a un grosso televisore, assieme a tantissimi altri bambini completamente
assorti nella vi-sione con la bocca spalancata. Non si accorse che la guardavo mentre usciva dalla stanza
e si allontanava con le forbici in mano, come armi catturate al nemico.
Nello sgabuzzino aprì il cassetto in cui venivano custodite le forbici. Me la ricordo abbastanza giovane, e
raffreddata. Probabil-mente stava pensando:Come avrà fatto a entrare qui?E poi: che strano, dovrebbe
esserci un altro paio di forbici qui dentro.Ma pro-prio in quell'istante ero riuscito ad afferrarla da
dietro, e a ficcarle l'attrezzo in questione nel polpaccio, attraverso le calze a rete, nella carne
morbida, dentro il muscolo irrigidito, fin quasi a scorgere l'osso, mentre guardavo il sangue che
scorreva dalla metà sporgen-te delle forbici fino alle mie manine. Ce l'ho ancora davanti agli
occhi. Lei che cadeva di fronte a me sulle ginocchia, con gli occhi e la bocca spalancati in
silenziose O di sorpresa e di dolore.
A venticinque anni di distanza, giacevo moribondo in quel vicolo sporco di merda. Un quarto di secolo
esatto. Sembrava che il san-gue, appiccicoso e caldo, non avesse mai cessato di scorrere: ero
completamente fradicio. Rosso e denso, raccolto sotto di me in una piccola pozzanghera, con granuli di
frammenti d'ossa e brandelli di carne attaccati ai vestiti e al corpo. Con l'avambraccio che ronzava e
ticchettava, e tracciava traiettorie letali verso nemici per i quali rimanevo pressoché inviolato,
irraggiungibile.
CARNE ORGOGLIOSA
«Me ne vado» disse il giovane. NellaFattoria delle Uova di Phoenix era conosciuto come E. Allen
Limmit. Dirigeva il bordello aziendale.
«Stai scherzando» disse Bonna Cummins, direttrice del persona-le della fattoria. Gli lanciò un'occhiata
minacciosa attraverso la scri-vania, da sotto le sopracciglia alte un dito. Le si poteva leggere negli occhi
quello che pensava: guarda un po' lo stronzetto.
Limmit annuì, tentando di non farsi intimidire, di non farsi sovra-stare psicologicamente dalla mole
opprimente della donna. «Proprio così» disse lui. «Mi sono già messo d'accordo perun passaggio sulla
spedizione d'uova di stanotte per Los Angeles. Ho già pagato e fatto tutto il resto.»
«Che succede?» lo schernì la Cummins. «Come mai il frocetto della GPC non ti dà un passaggio sul suo
jet personale? Ha paura che gli sporchi la tappezzeria con le piume di gallina?» Si appoggiò allo
schienale, e con un'unghia a spatola tentò di estrarre qualcosa tra gli incisivi.
Per un istante, Limmit si guardò in giro distratto nell'ufficio an-gusto. Su una parete erano appese le
fotografie ingiallite e polverose delle migliori ovaiole della fattoria, oltre ad alcune istantanee più piccole
delle loro uova, con a fianco un uomo per farne risaltare le dimensioni.Gli occhi ,pensò Limmit
guardando quegli animali stu-pidi e piumati,mi hanno sempre fatto venire in mente quelli dei ca-valli.
Dalla finestra di fianco alla porta vedeva il pavimento del capan-none principale della fattoria, e si mise a
osservare le ovaiole bian-che e le pianificatrici tecniche affaccendate nei vari cubicoli. Attra-verso il vetro
penetrò un suono acuto e lamentoso. Limmit sobbalzò: sapeva di cosa si trattava. A poca distanza, al di
là dei muri del ca-pannone, oltre gli altri cubicoli e i dormitori, si trovavano i sobbor-ghi della città di
Phoenix. La sabbia dell'Arizona ricopriva le strade e le autostrade.Me ne vado da tutto questo ,disse a
se stesso.
«Fa parte del piano,» disse infine, ancora consapevole dello sguar-do indagatore di Bonna. «È
necessario che arrivi a Los Angeles in quel modo.»
«Ma perché sto ad ascoltarti?» chiese la Cummins aggrottando le spesse sopracciglia. «Che vadano a
farsi fottere le tue stupide macchinazioni, qualunque esse siano. A me interessa sapere chi dovrò mettere
al tuo posto per mandare avanti il maledetto bordello.»
Limmit scrollò le spalle e disse: «Sono affari tuoi.»
«Dovrei usare la tua faccia come zerbino. Lo sai chi dovrà man-darlo avanti? Io, ecco chi!» Con grande
sforzo si calmò. «Ma sarò gentile con te. Dopo che a Los Angeles ti avranno rotto il culo, potrai anche
ritornare qui strisciando, e ti ridarò il tuo vecchio lavoro. Ti farò persino trovare le tue stanze pronte, non
devi neppure preoccu-parti di portare via le cose.»
«Grazie.» Si diresse verso la porta. «Ma non tornerò indietro,» disse acido.
«Sicuro. Vedremo.»
Prima di chiudere la porta dell'ufficio, lo raggiunse la voce rauca di lei. «Guarda che fino alla tua partenza
quei letti sono ancora sotto la tua responsabilità, mi hai sentito? Tira fuori Larry 4B, il mio pre-ferito.
Dopo una giornata di merda come questa ho proprio bisogno di rilassarmi un po'.»
Attraversando il capannone principale evitò i carrelli elevatori, ognuno dei quali trasportava un uovo
verso i ponti di carico o i congelatori della fattoria. Limmit si fermò a un cubicolo: sotto il co-dice di
identificazione c'era scarabocchiato col gesso il nome LEONA. Dentro, la gallina era sdraiata su un
fianco, come se fosse stata ferita. Parecchie operaie e pianificatrici tecniche la circondavano oziose,
inattesa. Una pianificatrice tecnica ispezionò con freddezza l'enorme apertura fecale dilatata. La paglia
sotto i suoi piedi era impregnata del sangue di Leona: evidentemente era stato deciso che sostituirla
sarebbe stata una perdita di tempo. «Attenta, Cal» sentì dire a una delle operaie rivolta alla tecnica.
«Ricordati di quella volta che hai ficcato la testa troppo in là e sei stata risuc-chiata dentro una di quelle
cose. Quasi ci rimanevi soffocata, prima che riuscissimo a tirarti fuori.»
Limmit si inginocchiò di fianco alla testa della gallina. Gli occhi rossi ed equini tremolarono,
riconoscendolo, poi si offu-scarono. «Meghda,» ansimò la bestia con una voce gutturale soffocata nel
becco. «Meghda de va mannle.»
«Lo so che fa male,» la consolò Limmit accarezzando la lanugine attorno al becco. «Non ti preoccupare,
andrà tutto bene.» Sollevando lo sguardo vide un'operaia divertita alla scena di cui erano protagonisti. Gli
occhi di Leona si erano chiusi come quelli di un bimbo prima di addormentarsi.
Limmit si alzò, e il suo sguardo incrociò quello dell'operaia che stava appoggiata al fianco dell'animale.
«Come sta?,» chie-se lui con voce pacata.
«Chi? Intende dire la gallina?» disse l'operaia perplessa. «Sta morendo. L'uovo è diventato blastomico,
non ne uscirà viva. Anche se riuscissimo a tirare fuori tutti i pezzi, all'interno è troppo lacerata. E poi,»
disse freddamente, «è troppo vecchia, non ne vale la pena. Le rimarrebbe ancora qualche mese di
pro-duzione.» L'operaia scrollò le spalle larghe e si girò.
Lui le fissò la schiena in silenzio.Stupida troia ,disse senza emettere suono. Alzando gli occhi vide una
delle operaie che lo guardava. La riconobbe e lasciò in fretta il cubicolo, con il viso che scottava dalla
rabbia. «Aspetta, Limmit!» lo chiamò l'ope-raia. Lui accelerò il passo. Leona si lamentò nel cubicolo, poi
gridò stridula mentre un'altra contrazione le scuoteva il corpo massiccio.
L'operaia lo raggiunse nel suo alloggio di fianco al bordello. «Ciao Joan.» disse Limmit senza guardarla.
«Ho sentito che te ne vai,» disse lei mentre l'altro apriva una piccola valigia sul letto.
«Esatto.» fece Limmit. Studiò la valigia vuota. Non c'era nulla che avrebbe voluto portare con sé.
Guardò gli scaffali sopra il letto: erano colmi di libri tascabili ingialliti che aveva estratto dalle dune
cresciute in una vecchia libreria in città.La più grande colle-zione di fantascienza del sud-ovest, forse
la più grande del mondo ,pensò Limmit fissando quelle copertine che una volta erano state
coloratissime. A chi sarebbero serviti adesso quei libri?
«Come mai?»
Chiuse di scatto la valigia e si voltò a guardare l'operaia. Aveva gli stessi lineamenti grezzi e massicci di
sei anni prima, quando si erano diplomati insieme al liceo aziendale. «Diciamo che mi sono stufato del
posto.»
Lei sembrava avvilita. «Non dovresti lasciarti impressionare da quelli.» disse lei. «Non sono meschini...
solo che non hanno avuto il tempo per legarsi a loro com'è successo a te.»
Lui sbuffò sarcastico: «Sono l'ultima persona a cui tu possa dire una cosa del genere. Ricordati che io
dirigo questo posto. So perfet-tamente chi si lega a cosa qui dentro. A proposito, mi devo ricordare di
attivare Larry 4B per Bonna Cummins.»
Joan restò per un attimo in silenzio, la testa con i capelli corti piegata come se stesse studiandosi gli
stivali da lavoro. «È quella l'unica ragione per cui te ne vai?» chiese sottovoce. «Cioè... non è perché qui
tutti sanno chi era tuo padre, no?»
Limmit la fissò senza dire nulla.
«Perché se è così,» balbettò confusa deglutendo, «non c'è niente di cui vergognarsi, no? Cioè, senza di
lui non ci sarebbe stata neppu-re unaFattoria delle Uova qui a Phoenix, non è vero?» Lo guardò
ammutolita.
«Cosa ti fa pensare che mi vergogni di mio padre?»
«Be', sai, visto che hai preso il nome di tua madre...»
«È lei che ha voluto così. Né io né lui c'entriamo niente. Sarebbe stupido se lo cambiassi adesso.»
Lei rimase ancora un momento a fissarlo, addolorata e silenziosa, poi si voltò e uscì dalla stanza. Limmit
aprì con un sospiro l'armadietto dei medicinali del bordello e, senza preoccuparsi di segnare di averli
presi, inghiottì due dei preziosi analoghi di anfetamina.Laggiù dove sto andando ce ne sarà un mucchio
,rifletté imbronciato.Ne spedirò un paio a Bonna per risarcirla di questi.
Si sedette sul letto e si guardò in giro. Senza Lester Gass, pensò, non ci sarebbe stata neppure la
Fattoria delle Uova di Phoenix. C'era proprio di che esserne orgogliosi. Un'altra delle tante meraviglie
che ci aveva lasciato. Si immaginò i capannoni della fattoria come degli hangar, in cui ogni cubicolo
conteneva la sua imponente gallina che ogni settimana depositava il suo uovo, che a sua volta veniva
tagliato e trasformato in migliaia di surrogati di articoli alimentari. La cresci-ta della massa corporea aveva
influenzato la capacità cerebrale. Le galline, troppo grosse per muoversi, guardavano e ascoltavano con
interesse tutto quello che succedeva intorno a loro.
E c'era anche il bordello, pensò Limmit.Il mio vecchio ha pro-prio pensato a tutto.
Quando arrivò la prima ondata di energia liberata dalle capsule, si alzò e uscì dalla stanza.Meglio
badare agli affari ,pensò attraver-sando la passerella che portava al reparto femminile.
Iniettò a Larry 4B una dose doppia: i piccoli occhi rossi lo guar-davano nascondendo una vuota
curiosità. Non si era mai sentito vi-cino a nessun altro nel bordello come a quelle ovaiole laggiù: gli
ani-mali avevano dei cervelli ancora troppo piccoli per parlare o pensa-re, anche se i becchi non erano
stati rimossi chirurgicamente (ed era l'unica alterazione non genetica che avveniva nella fattoria). Limmit
vide che iniziava il gonfiore indotto dalla droga. Quando Bonna avrebbe staccato dall'ufficio e sarebbe
arrivata lì, l'effetto sarebbe stato al massimo.
Poi smise di fare iniezioni ai galli e di lavare le galline.Che lo fac-ciano loro ,pensò ritornando alle sue
stanze, anche se sarebbe stato molto improbabile: la lista originale di Lester Gass delle punizioni per i
rapporti tra i dipendenti della fattoria era stata dimenticata da molto tempo, e non era mai stata usata più
di due o tre volte.
Nel suo alloggio trovò ad aspettarlo Joe Goonsqua, il dirigente della GPC. «Pronto per la partenza?»
chiese lui tutto sorrisi e fosset-te sul viso serafico.
«Sicuro,» disse Limmit. Gli analoghi dell'anfetamina lo stavano rendendo nervoso.
«Bene,» disse Goonsqua raggiante, «la Greater Production Corporation vuole che lei sappia che
apprezza il suo aiuto in questa faccenda da poco. E noi, naturalmente, apprezzeremo la sua discrezione.»
Porse a Limmit una grande valigia nera. «Ecco.»
Limmit la prese, e il peso quasi lo fece stramazzare. «Cristo, pesa una tonnellata.»
«Be', ehm, sa bene cosa c'è dentro.» Goonsqua indietreggiò e unì le mani, guardandosi in giro nella
stanza. «È tutto a posto? Ha pre-parato tutto?»
Annuì. «Non c'era granché.»
Goonsqua si schiarì la voce. «So,» disse, «che lei ha, ehm... qual-cosa da parte per uso personale nel,
ehm... ci siamo capiti?» Agitò una mano verso la porta e il bordello.
«Vero,» disse Limmit. «Mi fa piacere che me l'abbia ricordato. Prima di andarmene dovrò dare la chiave
del settore a Bonna Cum-mins.» Tolse la chiave dalla tasca e la osservò. Gli tornarono in men-te le calde
piume del petto, l'aggrovigliarsi della lanugine con i suoi capelli.Forse ,pensò,avrei dovuto salutarla...
se mai avesse capito.
«No, non importa.» disse Goonsqua. «Ci penso io.»
«Tanto passo di lì,» disse Limmit rimettendola in tasca.
«Mi dia la chiave» disse Goonsqua paonazzo, smettendo im-provvisamente di sorridere.
Limmit lo fissò, finché scattò qualcosa dentro di lui. «Certo» disse comprensivo, sfilando la chiave e
lasciandola cadere sul palmo di Goonsqua. «Provi pure quello che le pare.»
Chi l'avrebbe mai detto,disse tra sé e sé Limmit mentre attraver-sava il capannone principale, diretto
all'area di carico dove lo stava aspettando l'aereo,che un bastardo importante come quello avreb-be
mai potuto interessarsene? La gallina morente urlò ancora di dolore, dimenandosi nella paglia
impregnata di sangue.
In tutta Los Angeles stavano per accendersi le televisioni, nell'Orange County erano già in funzione.
Il primo gruppo della festa dei sicari sbucò sul tetto dell'edificio.Ilsole, che era ancora visibile quando
avevano cominciato a salire la tromba delle scale al buio, ora era tramontato, diretto in Cina. Eddie
Azusa, lavorando alla luce delle stelle, cominciò a fissare al parapet-to l'arma e il congegno di
puntamento multiplo. Milch, il cecchino e quindi ospite d'onore alla festa, trangugiò da una borraccia di
plastica piena di liquore fatto in casa un fluido marrone torbido, e la passò al piccolo Morris, sdraiato
stanco morto contro un pozzo d'aera-zione. Essendo un pivello lo avevano fregato dandogli tutto il
mate-riale da trasportare.
«Siamo pronti,» annunciò Azusa sbirciando attraverso il mirino principale. Ce n'erano due: uno
attraverso il quale il tiratore poteva puntare bersagli microscopici, e un altro che poteva essere usato
an-che da una seconda persona per osservare. Il meccanismo era stato realizzato per le squadre speciali
della CIA, che erano abituate a la-vorare con il coordinamento. «Stasera c'è troppa gente, però. Sarà
difficile avere un bersaglio pulito.»
Milch prese il posto di Azusa al mirino e grugnì. «Forse,» disse biascicando, «questa volta non sto ad
aspettare uomini in abito gri-gio, becco chi mi pare.» Era già mezzo ubriaco: la cosa di per sé serviva ad
attutire l'effetto di quelle sostanze letali o per lo meno debilitanti che si sarebbe iniettato lentamente e con
voluttà, al momento più opportuno, per stabilizzare la mano.
Mentre osservava gli strani movimenti di Milch, Azusa capì che a Rattown c'erano poche cose più
disgustose di un alcolizzato. Lui stesso preferiva la kainina, in dosi moderate. Come per gli altri com-posti
prodotti nei laboratori del buon dottor Betreech, lassù sulle colline di Hollywood, non provocava effetti
fisici collaterali che po-tessero oscurare i cambiamenti puramente psichici, quasi spirituali, che dava.Ma
per questa notte niente ,si disse Azusa, controllando il movimento quasi inconscio della mano verso la
tasca interna del giubbotto:meglio così per tutti. Ma non per quello che ,pensò con acredine,dovrà
organizzarsi per portare a termine la serata.
Dall'altra parte del tetto arrivarono suoni di violenti conati di vomito. Più di sessanta rampe di scale,
caricato come un somaro, pieno di alcol a cui non era abituato: era davvero troppo per il piccolo Morris.
«Non è proprio tagliato per questi pesanti lavori da rivoluziona-rio» disse Azusa, al quale Milch replicò
ridacchiando: «Mandalo da Madre Sofferenza.»
Patti F. sbucò dall'oscurità, con in mano un'altra bottiglia di pla-stica piena, presa da quelle che aveva
trasportato Morris. Lei era l'ultima amichetta di Milch, e quindi un'ospite non previsto: posò la bottiglia
vicino al parapetto e si mise placidamente vicino a lui. Azusa vide che il viso era assente e privo di
espressione, come quello di una vacca in amore.
«Vuoi dare un'occhiata?» disse Milch offrendole l'altro mirino. Insieme misero a fuoco la strada
vivacemente illuminata giù in bas-so. Senza staccare l'occhio dal cannocchiale cercò a tentoni la bot-tiglia
di plastica, da cui bevve trangugiando, la posò a terra, e comin-ciò ad accarezzare maldestramente i
fianchi della ragazza. Azusa sapeva che quello era un preliminare. Più tardi, quella sera, una volta pronto,
Milch avrebbe fatto scattare con le dita ben altri grilletti.
«C'è qualcuno che ti piace?» chiese Milch facendo ruotare le manopole del cannocchiale.
«Ooh, eccone uno. Mi piacerebbe far fuori quello, o quello, op-pure...»
Azusa guardò oltre le loro teste, giù in lontananza verso l'Inter-faccia. Da qui sembrava un verme, o un
serpente, pieno di una luce che ribolliva lentamente, sospeso vicino al margine degli edifici e delle strade
vuote in disfacimento che costituivano Los Angeles, fat-ta eccezione per quella parte semplicemente in
rovina che erano i bassifondi.Un serpente ,rifletté stranamente incuriosito, nonostante il suo pragmatico
cinismo sulle motivazioni quasi mistiche di quella festa. Si accorse di un leggero suono gutturale che
proveniva da qualche parte nel buio. Era il piccolo Morris che russava. Si diresse verso la fonte del
suono. «Proprio una bella banda di assassini» disse rivolto alla notte, mentre prendeva la piccola
televisione portatile dalla figura pronadi Morris. La collegò a una delle onnipresenti pre-se del network
via cavo, che permeava tutta Los Angeles come un sistema nervoso vivo in un cadavere. Sia benedetto
John Mox, pen-sò, e il suo ego grande come l'Orange County, che continuavano a mantenere attivi i
collegamenti nei bassifondi nonostante le proba-bilità di ottenere conversioni in mezzo aquesto pubblico
fossero zero assoluto. Accese la televisione, immergendo una porzione del tetto in una luce tenue, grigia,
trapezoidale.
«Un magnaccia,» disse Leslie. Lui ne senti va l'odore, come quello del sangue: si basava sul principio che
per riconoscerne uno ci vole-va proprio un altro magnaccia. Osservò una figura con una grande valigetta
nera a rimorchio che camminava lentamente dall'altra par-te di una congestionata Interfaccia. La figura
scomparve tra la folla. «Viene da fuori, forse New York.»
«Eh?» disse la piccola prostituta aggrappata al braccio. Aveva diciotto anni, era arrivata a Los Angeles
la settimana prima, il giorno dopo il suo compleanno.
«Quel tizio laggiù,» disse Leslie indicandolo, mentre la figura sottile riapparve per un momento sul
marciapiede opposto.
«È un magnaccia?»
«Sì, ma non di queste parti.»
Rifletté un momento. «Che ci fa qui?» chiese lei. «Non c'è nessu-no che vola così lontano, all'infuori dei
pezzi grossi della GPC. Sei sicuro che sia di New York?»
Sorridendo, studiò le file compatte di libri pornografici sistemati suibanchetti fuori da un piccolo
porno-shop. Dietro di loro l'Interfac-cia mulinava e brulicava lentamente. Gli piacevano quelle copertine
colorate, rosa come morbide e invitanti caramelle.Roba ,pensò luì,roba a due dimensioni. Quella frase
si era intrufolata nella sua men-te, e lo riempiva di un senso di soddisfazione. «Da dove vuoi che venga?»
disse deridendola. «Da Phoenix, forse?»
«Va bene, allora è di New York,ma che ci fa qui? »Per lo meno,pensò lei guardandolo in faccia,è di
buon umore. Questa è la con-versazione più lunga che abbiamo mai avuto.
Scrollò le spalle. «Chi lo sa? È già da una dozzina di volte che lo vedo camminare su e giù per
l'Interfaccia. Come se aspettasse qualcu-no o qualcosa. Comunque, qualcosa di importante. Quando un
ma-gnaccia comincia a fare un viaggio transcontinentale, allora vuol di-re che c'è sicuramente qualcosa
che bolle in pentola.» Si fece strada in lui un pensiero improvviso e indistinto, un presentimento che
esistesse oltre la barriera iniziale un'insospettata attitudine a quel lavoro mai intuita prima, e che con tutta
la forza dei suoi diciotto anni stesse tentando di oltrepassarla. Si chiese se la ragazza sospettava di essere
la sua prima protetta.
Lei appoggiò il volto contro la manica di pelle di lui. «Questo cambia i nostri piani?»
Le copertine delle riviste porno brillarono per un istante nei suoi occhi: le aspre luci chimiche che
riempivano l'Interfaccia forse ricevettero un momentaneo impulso di energia. «Merda. Ci vuole ben altro
che quel brutto stronzo per farmi sfuggire un'opportunità del genere. Quando quel cancello si apre e il
dottor Adder tira fuori la sua moto, tu sarai là. Se ci riusciamo, ti faccio fare un lavoretto gratis, che al
confronto tutte le altre battone di questa strada sembre-ranno malate.» La voce si abbassò. «Ti va o no,
eh? Per il tuo amico del cuore?»
Una lacrima formò un cerchiolino, simile a inchiostro, sulla pelle del giubbotto. Lei abbassò il viso per
non farsi vedere. «Ho ancora... un po' di paura,» disse con voce soffocata mentre si fissava le gambe
pallide e magre.
«Non ti preoccupare» disse lui allontanandosi dai banchetti del porno-shop, tirandola per il braccio nudo
verso la calca della strada. L'attesa gli provocò una piacevole tensione. Come se sapesse, pen-sava, che
finalmente quella notte ce l'avrebbe fatta.La mia grande opportunità. Un magnaccia di Los Angeles
può cambiare fantasie a due dimensioni in qualcosa del genere ,pensò sentendo la pressione del
braccio della ragazza contro il suo.
Dietro di loro, l'omino stempiato dentro il porno-shop accese la televisione che era appesa sopra il
registratore di cassa. Dando un'oc-chiata alle sue spalle, la ragazza poté vedere chiaramente lo schermo
grigio luminoso attraverso la porta del negozio; l'immagine era in-terrotta soltanto dalle figure che
passavano sul marciapiede.
Dall'aereo a Limmit era sembrato che l'Orange County e Los Angeles stessero bruciando lentamente,
immerse nel colore incan-descente degli ultimi raggi rossi di sole. Mentre ascoltava distratta-mente le
informazioni che gli stava dando il pilota, una ragazza dal sorriso folle con il nome ALICE stampigliato sul
taschino si mise a guardare il suolo che si avvicininava.
Sembrava che l'Orange County fosse costituita da piramidi di varie dimensioni raggruppate a caso che si
delineavano massicce già da quell'altezza.Icomplessi residenziali, spiegò il pilota. Erano cir-condati dai
resti di quei sobborghi o di quelle città che ancora non erano stati aggrediti dalla rovina o dal fogliame
rigoglioso e paziente delle colline. A nord si trovavano le unità rettangolari delle zone in-dustriali. In
confronto alle piramidi sembravano assurdamente piccole: lei disse che gli stabilimenti principali si
trovavano nel sottosuolo. Indicò la piccola pista di atterraggio su cui erano diretti.
Sembrava che Los Angeles scorresse ai margini dell'Orange County come una valanga di macerie.Un
cancro ,pensò Limmit meravi-gliato da quell'immensità orizzontale. Si spandeva a caso sotto di lui come i
resti di qualche escrescenza maligna. Mentre l'ultima luce del giorno diventava viola e sbiadita, anche i
dettagli intricati e contor-ti degli edifici e delle strade gremite di Los Angeles si affievolivano, sostituiti,
man mano che calava il buio, dall'immagine di una specie di fluido denso e coagulato che striava la terra.
Puntolini luminosi quasi indistinguibili apparivano nella parte a nord della città morta. Al margine
meridionale, subito all'interno della massa scura, brilla-va una linea sottile di luce artificiale.
«L'Interfaccia,» disse con un sorriso il pilota indicando la linea. «Spero che trovi ciò che sta cercando.»
Limmit non disse nulla, tentando di misurare la distanza dalla pi-sta di atterraggio nella zona industriale
dell'Orange County fino al-l'altra striscia di luce che correva quasi parallela.
«Non ti preoccupare» disse la ragazza leggendogli nel pensiero. L'aereo cominciò a scendere, assieme al
carico di uova che aveva a bordo. «Non è difficile raggiungere l'Interfaccia dall'Orange Coun-ty.»
Aveva ragione. Un giovane imbronciato, uno dei tanti che bighel-lonavano intorno agli edifici adiacenti
alla pista, dopo aver ricevuto da Limmit una banconota estratta dal rotolo dei risparmi che teneva in
tasca, aveva portato lui e la sua valigetta nera verso il limite più vicino dell'Interfaccia, depositandolo
senza dire una parola. Il ragaz-zo se ne era andato via col suo trabiccolo rumoroso, verso il margine non
lontano dell'Orange County, alla volta di altri passeggeri.
Tutto ciò era successo più di un'ora prima; quasi due ore, si accor-se Limmit guardando l'orologio. Nel
frattempo aveva passeggiato lentamente su e giù per tutta la lunghezza dell'Interfaccia, spinto dalla folla
che si accalcava sui marciapiedi. Dapprima era stato av-vicinato da dozzine di altri ragazzi, non
imbronciati come il primo, che gli offrirono in rapida successione una serie di pasticche, capsu-le e fiale di
liquidi a lui sconosciuti. Lui rifiutò, tenendo una mano in tasca sul rotolo di banconote e stringendo con
l'altra la valigetta, finché alla fine desistettero e lo lasciarono in pace.
Poi fu il turno delle prostitute. Sembrava che i volti vacui e gli occhi penetranti e innaturali dei loro
protettori volessero trapassarlo, mentre aspettavano che si avvicinasse come gli altri clienti o che
passasse oltre, lungo il marciapiede. Limmit li superò, con un senso di disagio che gli cresceva dentro.
Sono mutilate ,pensò, guardando-ne una di nascosto;ce ne deve essere almeno una metà a cui
manca qualcosa. Una gamba, un braccio, o entrambi, oppure qualcosa di più. Guardò con
affascinato ribrezzo una prostituta senza gambe che usciva dall'ingresso di uno degli edifici cadenti
allineati lungo la strada. Sotto lo sguardo attento di uno dei magnaccia più vecchi e meglio vestiti della
strada, cominciò a farsi largo tra la folla.
Cristo,pensò Limmit,cosa sta succedendo? Sono vittime di guerra o cos'altro? Ce ne sono
un'infinità. E c'era qualcosa di strano anche in quelle intatte: una specie di insondabile segno di affinità
con le so-relle mutilate.E la cosa ancora più strana ,pensò Limmit,è che quelle mutilate sembra che
facciano gli affari migliori.
Limmit riuscì a individuare mentalmente la gestalt dell'Interfaccia, e vide che per il resto consisteva di
innumerevoli porno-shop e di ci-nema a luci rosse: queste, a parte i magnaccia e gli spacciatori,
sem-bravano le principali attività economiche della strada. Vide inoltre gli ingressi degli edifici bui e isolati
dentro i quali le prostitute scom-parivano con i loro clienti; un unico chiosco di hamburger e tacos
oscenamente untuoso, sovrastato da un'insegna al neon che faceva lampeggiare incessantemente le parole
LA MERDA CALDA DI HARRY (è uno scherzo,suppose Limmit, anche se non voleva spe-rimentare
quanto fosse effettivamente perversa Los Angeles); e in-fine i maschi normali dell'Orange County, che
erano la maggioranza delle persone che costituivano la folla, nel rispetto della proporzione classica tra
erbivori e carnivori. La massa era punteggiata da pochi sparuti poliziotti in divisa che, per quello che
poteva vedere Limmit, non facevano altro che girare e stare a guardare. A entrambe le estre-mità della
strada non c'erano altro che auto sporche che scaricavano altri normali. La calca occupava tutta la
strada, e ci si poteva muove-re solo a piedi.
Soltanto un'altra cosa poteva dare un'idea completa dell'Interfac-cia, pensò Limmit guardandosi per un
momento gli stivali che si muovevano sullo strato di rifiuti che si stava lentamente accumulan-do sulla
strada. Sentì improvvisamente freddo, pensandoci. Era il cancello nero in ferro battuto, posto
direttamente al centro del lato nord della strada. Quando, appena arrivato, Limmit aveva chiesto dove
poteva trovare il dottor Adder, un vecchio gliel'aveva indicato.
Prima che il vecchio glielo mostrasse dalla strada, un giovane ro-busto con un vestito grigio li aveva
avvicinati e gli aveva lasciato un volantino preso da un pacco che teneva sotto il braccio. «Tenete» aveva
detto con voce irritata ma ostentatamente monotona. «Salva-tevi.»
«Vaffanculo» aveva ribattuto il vecchio ritraendo il braccio teso.
«Ma va' all'inferno» aveva borbottato il giovane, come se fosse arrivato a una decisione meditata.
Dopodiché aveva scaraventato il pacco di volantini contro il vecchio, facendolo cadere per terra in un
turbine confuso di carta, e si era diretto verso la folla.
«Chi era?» aveva chiesto Limmit, aiutando il vecchio a rialzarsi.
Il vecchio aveva sbuffato. «Evangelisti di strada. È uno di quei maledetti MoFo di John Mox.»
Quelle parole avevano sorpreso Limmit. «Sono sempre così?»
«Non importa» Il vecchio gli aveva afferrato il braccio. «E poi, perché mi fai domande sul dottor
Adder?»
D'istinto Limmit aveva accentuato la stretta sulla maniglia della valigetta. Prima che potesse rispondere, il
vecchio aveva ripreso a parlare.
«Si dicono un mucchio di strane cose su di lui e sulle cose che fa. Credimi, prima ancora che arrivasse
Adder ero io il boss di questa strada. Allora non si chiamava neanche Interfaccia. Puoi fidarti di me.
Quella cancellata l'ho messa su io, roba eccezionale. Risparmia-ti i soldi.»
Senza capire, Limmit si stava divincolando.
«Aspetta,» aveva gridato il vecchio mentre Limmit faceva retro-marcia. «Posso trovartelo io quello che ti
serve. Non c'è bisogno di quelle stronzate di Adder.» Aveva tentato di inseguire Limmit, ma era stato
inghiottito tra gli spintoni della folla indifferente.
Limmit aveva attraversato la strada e aveva camminato avanti e indietro di fronte al cancello di ferro
nero che gli aveva indicato il vecchio almeno una dozzina di volte. Dietro di esso, oltre un piccolo cortile
che conteneva qualche rampicante secco e quella che Limmit riconobbe come una motocicletta, rigida e
vagamente spettrale sul cavalletto centrale, vide l'ingresso dell'abitazione e sede degli affari del dottor
Adder. E lui era arrivato fin da Phoenix, con tanto di vali-getta nera, per entrare lì.
Ma come fare?pensò Limmit fissando il cancello e sbirciando attraverso le sbarre.Quell'idiota di
Goonsqua e i suoi stupidi piani. C'era un lucchetto delle dimensioni di una piccola patata, e Limmit non
riuscì a vedere alcun pulsante o altri modi perentrare.Come fac-cio ad avere un appuntamento? disse
tra sé e sé acidamente. Ma il to-no sarcastico gli si smorzò dentro subito.Cristo ,pensò,non so ne-anche
quello che fa il dottor Adder. Un enigma: dietro quel nome c'è il buio completo e totale. A ogni
passaggio, quelle porte di ferro nero incombevano nella sua mente sempre più grandi e minacciose.
As-sieme alle prostitute mutilate, agli strani vaneggiamenti del vecchio e all'Interfaccia stessa, era quasi
sufficiente per fargli desiderare di non aver mai lasciato Phoenix.
Ma non era così, pensò severamente. Rimanere là avrebbe signi-ficato morire soffocati. Anche questo
strano esilio avrebbe potuto essere alleviato da un bel po' di denaro. Guardò la valigetta, e il peso
consistente gli risollevò il morale.Potrei anche spassarmela. Alzò lo sguardo e vide, a poca distanza dal
marciapiede, una prostituta e il suo protettore che lo fissavano con uno sguardo pigro.
A differenza della maggior parte di quelli che erano allaFattoria delle Uova di Phoenix, Limmit aveva
una conoscenza del coito che andava al di là di quella fornita dal bordello aziendale: una seduta maldestra
e piena di sensi di colpa con Joan, che era già massiccia fin dai tempi della scuola, e altri incontri ben più
memorabili durante la sua breve carriera nell'Esercito del Sud-ovest.
Che diavolo,pensò Limmit facendo scorrere il pollice sul bordo del rotolo di banconote che aveva in
摘要:

K.W.JETERDR.ADDER(Dr.Adder,1984) Anch'iosonofavorevoleachelavostrarivistaospitiimmaginididonnemutilate.Ledonneconunbracciosoloesoprattuttoquelleconunasolagambaoffronoun'eccitazioneunica,eunserviziofotografi­cocondellebelleragazzemutilatesicuramentesarebbegraditoamol­tilettori... daunaletterainviataa...

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K. W. Jeter - Dr Adder.pdf

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