Isaac Asimov - La Fine Dell'Eternit…

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ISAAC ASIMOV
LA FINE DELL'ETERNITÀ
(The End Of Eternity, 1955)
capitolo primo:
tecnico
Andrew Harlan salì a bordo del cronoscafo, una struttura perfettamente
sferica inserita in una gabbia verticale di aste regolarmente distanziate che
parevano scintillare in una invisibile nebbia, a circa due metri dalla sua te-
sta. Harlan regolò i comandi e spostò la leva di partenza.
Il cronoscafo non si mosse.
Harlan non si era aspettato che il cronoscafo si muovesse; non si era a-
spettato alcun tipo di movimento, né in alto né in basso, né a destra né a
sinistra, né avanti né indietro. Tuttavia gli spazi tra le aste si erano sciolti
in una oscurità grigia, solida al tatto eppure immateriale. E c'era un senso
di movimento nel suo stomaco, un debole accenno di vertigine (psicoso-
matica?), piccoli elementi che gli dicevano come tutto ciò che il cronosca-
fo conteneva, lui compreso, stesse filando in avanti nel tempo, attraverso
l'Eternità.
Era salito a bordo nel 575° Secolo, la Sezione di residenza che gli era
stata assegnata due anni prima. In quel periodo il 575° era stato il punto
più avanzato da lui raggiunto nell'Eternità, ma ora stava andando verso il
2456° Secolo.
In circostanze normali, la prospettiva gli avrebbe certamente dato un
senso di smarrimento. Il suo Secolo natale era molto indietro, il 95°, per
essere precisi. Il 95° era un Secolo rigidamente restrittivo per quanto ri-
guardava l'energia atomica, vagamente rustico, portato a preferire il legno
naturale come materiale da costruzione, esportatore di alcuni tipi di liquidi
potabili distillati praticamente in ogni punto del Tempo; e grande importa-
tore di semi di trifoglio. Benché Harlan non fosse più ritornato nel 95°, da
quando aveva iniziato l'addestramento speciale ed era diventato un Cuccio-
lo, a quindici anni, esisteva sempre un senso di smarrimento e di nostalgia
quando ci si allontanava ancor più da «casa» lungo il corso del Tempo. Nel
2456° sarebbe stato a più di duecentoquaranta millenni dal suo tempo nata-
le, e si trattava di una distanza considerevole anche per un Eterno incallito.
In circostanze normali, sarebbe stato così...
Ma in quel momento Harlan non era in grado di pensare ad altro che ai
suoi documenti che gli pesavano in tasca, e al suo piano che gli pesava sul
cuore. Era un po' spaventato, un po' teso, e un po' confuso.
Furono le sue mani ad agire da sole, e a fermare il cronoscafo nel modo
giusto e nel Secolo giusto.
Era strano che un Tecnico si sentisse teso o nervoso. Come aveva detto
una volta l'Istruttore Yarrow?
«Sopra ogni altra cosa, un Tecnico deve essere privo di sentimenti. Il
Mutamento di Realtà che egli inizia può influire sulla vita di cinquanta mi-
liardi di persone, e influire così radicalmente su un milione di queste, da
renderle praticamente nuovi individui. In queste condizioni, un atteggia-
mento emotivo è un chiaro svantaggio.»
Harlan scosse la testa, con un movimento quasi rabbioso, come se aves-
se voluto scacciare il ricordo della voce secca e precisa del suo Istruttore.
A quei tempi non avrebbe mai immaginato di doversi trovare in quella po-
sizione, né di averne le capacità. Ma alla fine l'emozione lo aveva raggiun-
to. E non era per cinquanta miliardi di persone. In nome del Tempo, che
cosa importava a lui di cinquanta miliardi di persone? Ce n'era una sola.
Una sola persona.
Si rese conto che il cronoscafo era fermo, e, dopo un brevissimo indugio
per riordinare i propri pensieri, riuscì ad assumere la personalità fredda e
distaccata che un Tecnico doveva avere, e uscì. Il cronoscafo dal quale era
uscito, naturalmente, non era lo stesso nel quale era entrato, nel senso che
non era composto dagli stessi atomi. Harlan non si preoccupava di questi
dettagli, non più di quanto se ne sarebbe preoccupato qualunque altro Eter-
no: meditare sulla mistica del Viaggio nel Tempo, piuttosto che sul sem-
plice fatto della sua esistenza, era il marchio del Cucciolo, del novizio del-
l'Eternità.
Indugiò di nuovo alla sottilissima cortina di Non-Spazio e Non-Tempo
che lo separava in un senso dall'Eternità, e nell'altro dal Tempo normale.
Quella sarebbe stata per lui una sezione di Eternità completamente nuo-
va. Ne conosceva gli elementi, per sommi capi, perché aveva consultato il
Manuale Temporale: tuttavia nulla poteva sostituire il contatto, l'aspetto
concreto e reale, e perciò Harlan si preparò a sostenere l'urto dell'adatta-
mento.
Manovrò i controlli, un'operazione semplicissima per passare nell'Eterni-
tà (e complicatissima per passare nel Tempo, un tipo di passaggio che era
relativamente meno frequente). Attraversò la cortina, e si trovò abbagliato.
Istintivamente, sollevò le mani per proteggersi gli occhi.
C'era solo un uomo davanti a lui. Dapprima Harlan riuscì a distinguerlo
confusamente.
L'uomo disse:
«Io sono il Sociologo Kantor Voy. Immagino che voi siate il Tecnico
Harlan.»
Harlan annuì, e disse:
«Padre Tempo! Non si può regolare questa specie di decorazione?»
Voy si guardò intorno, e disse, in tono accondiscendente:
«Alludete alle pellicole molecolari?»
«E a che altro?» rispose Harlan. Il Manuale ne parlava, ma non accen-
nava a una simile folle orgia di riflessi luminosi.
Harlan sapeva che la sua irritazione era del tutto ragionevole. Il 2456°
Secolo era orientato sulla materia, come la maggior parte dei Secoli, e così
lui aveva il diritto di aspettarsi fin dall'inizio una base di compatibilità.
Non vi avrebbe trovato la totale confusione (totale per chiunque fosse nato
in un Secolo orientato sulla materia) dei vortici di energia del 300°, o della
dinamica dei campi del 600°. Nel 2456°, la materia veniva usata per tutti
gli scopi, dalla costruzione di pareti a quella di chiodi; e questo era un van-
taggio per la maggior parte degli Eterni.
Naturalmente, c'era materia e materia. Il nativo di un Secolo orientato
sull'energia questo non lo avrebbe forse capito, perché per lui tutte le cose
materiali sarebbero apparse variazioni minori di un tema grossolano, pe-
sante e barbarico. Per un individuo orientato sulla materia, come Harlan,
c'erano invece delle distinzioni: legno, metalli (suddivisi a loro volta in
leggeri e pesanti), plastica, silicati, cemento, cuoio, e così via.
Ma chi poteva pensare a una materia composta esclusivamente di spec-
chi?
Fu quella la sua prima impressione del 2456°. Ogni superficie rifletteva
la luce e scintillava di luce. Ovunque si aveva un'impressione di completa
levigatezza: l'effetto di una pellicola molecolare. E nell'infinita ripetizione
del riflesso di se stesso, del Sociologo Voy, di tutto quello che poteva ve-
dere, nei particolari o nella totalità, con tutte le angolazioni, c'era una spa-
ventosa confusione. Un senso di confusione allucinante, che dava le verti-
gini.
«Sono dolente,» disse Voy. «Ma questo è l'uso del Secolo, e la Sezione
assegnata a esso trova che è una buona norma adottare gli usi locali, quan-
do è possibile. Vi abituerete, col passar del tempo.»
Voy s'incamminò rapidamente sui piedi in movimento di un altro Voy,
che se ne stava capovolto nel pavimento, e si muoveva in perfetta sincro-
nia con lui. Toccò un sottilissimo indicatore, e il filo di luce che divideva
la scala a spirale discese fino alla base.
I riflessi scomparvero; le luci si attenuarono. Harlan si sentì di nuovo a
suo agio.
«Seguitemi, per favore,» disse Voy.
Harlan lo seguì lungo corridoi deserti che fino a pochi istanti prima do-
vevano essere stati un ribollire di luci e riflessi, su una breve scala, in u-
n'anticamera, e finalmente in un ufficio.
In quel breve tragitto non si era visto alcun essere umano. Harlan era a-
bituato a questo, lo dava per scontato, e sarebbe rimasto sorpreso, e forse
scosso, se avesse colto l'immagine di una figura umana in movimento.
Senza dubbio, si era diffusa la voce dell'arrivo di un Tecnico. Lo stesso
Voy manteneva le distanze, e quando, casualmente, la mano di Harlan a-
veva sfiorato la manica del Sociologo, Voy si era scostato, trasalendo visi-
bilmente.
Harlan provava una certa sorpresa nell'accorgersi dell'amarezza che tutto
questo gli procurava. Aveva pensato che la corazza che era riuscito a far
crescere intorno al suo cuore fosse più robusta, più resistente alle sollecita-
zioni dei sentimenti. E se sbagliava, se quella corazza era diventata troppo
sottile, poteva esserci un solo motivo.
Noys!
Il Sociologo Kantor Voy si piegò in avanti, rivolgendosi al Tecnico con
modi apparentemente cordiali, ma Harlan notò, automaticamente, che se-
devano alle estremità opposte di una lunga tavola.
«Sono lieto che un Tecnico della vostra reputazione si interessi del no-
stro piccolo problema,» disse Voy.
«Sì,» rispose Harlan, nel tono gelido e impersonale che ci si aspettava da
lui. «Ha i suoi lati interessanti.» (Ma era abbastanza impersonale? Certo i
suoi veri motivi dovevano essere evidenti, la colpa doveva brillare in goc-
cioline di sudore sulla sua fronte... non poteva simulare bene!)
Prese da una tasca interna il foglio perforato che riassumeva il progettato
Mutamento di Realtà. Era la stessa copia che era stata inviata il mese pri-
ma al Consiglio d'Ogniquando. Grazie ai rapporti che lo legavano al Cal-
colatore Anziano Twissell (il grande Twissell in persona) non aveva dovu-
to faticare molto per metterci le mani.
Prima di svolgere il foglio, che sarebbe rimasto aderente al tavolo grazie
a un tenue campo paramagnetico, Harlan esitò per una frazione di secondo.
La pellicola molecolare che ricopriva il tavolo era attenuata, ma non
spenta. Il movimento del braccio attirò il suo sguardo, e per un momento il
riflesso del suo viso parve fissarlo dalla piatta superficie del tavolo. Harlan
aveva trentadue anni, ma ne dimostrava di più, e lo sapeva bene. Questo
era dovuto in parte al suo volto allungato e alle sopracciglie nere su un
paio d'occhi scurissimi, quei lineamenti che gli davano l'espressione impe-
riosa e lo sguardo gelido che nella mente di tutti gli Eterni si associavano
alla caricatura del Tecnico-tipo. O forse l'espressione era dovuta al fatto
che lui stesso si rendeva conto, acutamente, di essere un Tecnico.
L'esitazione fu comunque brevissima. Subito egli terminò di svolgere il
foglio, che aderì perfettamente al tavolo, e fatto questo passò all'argomento
principale.
«Io non sono un Sociologo, signore,» dichiarò, brevemente.
Voy sorrise:
«Splendido. Quando si comincia col dichiarare una mancanza di compe-
tenza in un campo specifico, generalmente si sottintende che, quasi subito
dopo, si esprimerà un'opinione completa in proposito.»
«No.» disse Harlan. «Non si tratta di un'opinione. Solo di una richiesta.
Vorreste dare un'occhiata a questo sommario per vedere se non avete
commesso un lieve errore, da qualche parte?»
Voy si fece subito serio.
«Spero di no.» disse.
Harlan rimase con un braccio appoggiato allo schienale della sedia, e
con l'altro braccio appoggiato alle proprie gambe. Doveva impedire alle
sue dita di muoversi, e di tamburellare nervosamente il tavolo. Non doveva
mordicchiarsi le labbra. Era necessario che egli non mostrasse in alcun
modo i propri sentimenti.
Da quando l'intero orientamento della sua vita era stato così radicalmen-
te cambiato, aveva tenuto d'occhio tutti i progetti di Mutamenti di Realtà
che erano passati attraverso il rigido meccanismo amministrativo del Con-
siglio d'Ogniquando. Essendo il Tecnico personale del Calcolatore Anzia-
no Twissel, era riuscito a fare questo con una disinvolta interpretazione di
certi principi dell'etica professionale. Questo era stato facile, sorpattutto
perché l'attenzione di Twissell era stata assorbita completamente dal suo
nuovo progetto. (Harlan dilatò brevemente le narici. Adesso sapeva qual-
cosa sulla natura di quel progetto).
Harlan non aveva avuto alcuna garanzia di trovare quello che stava cer-
cando, per lo meno in un periodo di tempo ragionevole. Quando aveva po-
tuto vedere per la prima volta il progetto di Mutamento di Realtà 2456-
2781, Numero di Serie V-5, aveva sospettato che le sue capacità di ragio-
namento si fossero piegate al desiderio, facendogli credere di avere trovato
quanto desiderava in un progetto del tutto insignificante. Aveva passato un
giorno intero a controllare e ricontrollare equazioni e relazioni, in uno stato
di lacerante incertezza, che si mescolava a una crescente eccitazione e a un
senso agrodolce di riconoscenza per chi gli aveva insegnato, per lo meno, i
rudimenti della psicomatematica.
Voy si stava chinando su quegli schemi perforati, ora, con espressione in
parte sconcertata, in parte preoccupata.
«Mi sembra, ripeto, mi sembra che sia tutto in perfetto ordine,» disse il
Sociologo, dopo un breve esame.
Harlan proseguì:
«Mi riferisco in particolare alla questione del corteggiamento caratteri-
stico della società della corrente Realtà di questo Secolo. Si tratta di un
problema di sociologia, ed è quindi sotto la vostra responsabilità, suppon-
go. È per questo che ho fatto in modo di parlare con voi al mio arrivo, in-
vece che con qualcun altro.»
Ora Voy aveva la fronte corrugata. Era sempre cortese, ma nella sua vo-
ce c'era una sfumatura di gelo.
«Gli Osservatori assegnati alla nostra Sezione sono di estrema compe-
tenza,» disse. «Sono più che certo che quelli assegnati al progetto hanno
fornito dei dati accurati. Avete forse le prove del contrario?»
«Affatto, Sociologo Voy. Accetto senza riserve i loro dati: quello che
metto in dubbio è lo sviluppo dei dati. Non avete forse un complesso-
tensorio alternativo, a questo punto, se i dati inerenti il corteggiamento so-
no stati esaminati con la debita considerazione?»
Voy dilatò per un momento gli occhi, e poi apparve visibilmente solle-
vato.
«Naturalmente, Tecnico, naturalmente, ma l'alternativa si risolve in una
identità. C'è una biforcazione di piccole dimensioni senza sbocchi da una
parte o dall'altra. Spero vorrete scusarmi se uso un linguaggio figurato,
senza ricorrere alle precise espressioni matematiche.»
«Anzi, ve ne sono grato,» disse Harlan, seccamente. «Non sono un Cal-
colatore, più di quanto non sia un Sociologo.»
«Benissimo, allora. Il complesso-tensore alternato al quale vi riferite, o,
in linguaggio figurato, la biforcazione della strada, è privo d'importanza.
Le diramazioni si riuniscono subito, e la strada rimane unica. Non c'è stato
neppure bisogno di menzionare l'alternativa nella nostra proposta.»
«Se lo dite voi, signore, mi inchinerò alla vostra esperienza e competen-
za. Tuttavia, rimane sempre la questione del M.M.N.»
Il Sociologo trasalì nel sentire pronunciare quelle iniziali, una reazione
che Harlan si era aspettato. M.M.N.: Minimo Mutamento Necessario. In
questo campo, il Tecnico era l'unico padrone. Un Sociologo poteva sentirsi
a] di sopra della critica di chicchessia nelle questioni che riguardavano l'a-
nalisi matematica delle infinite Realtà possibili nel Tempo, ma in materia
di M.M.N. il Tecnico era l'autorità suprema.
I calcolatori meccanici, in questo campo, non servivano. Il più grande
Computaplex che mai fosse stato costruito, programmato dal più intelli-
gente e più esperto Calcolatore Anziano che mai fosse nato, avrebbe potu-
to indicare solo i campi entro i quali sarebbe stato possibile trovare il
M.M.N.: era a questo punto il Tecnico, dopo avere esaminato i dati, a de-
cidere la scelta di un punto esatto entro i campi indicati. Un buon Tecnico
sbagliava raramente. Un grande Tecnico non sbagliava mai.
Harlan non sbagliava mai.
«In questo caso, il M.M.N. raccomandato dalla vostra Sezione,» disse
Harlan (che parlava freddamente, con sicurezza, pronunciando in sillabe
precise le parole della Lingua Standard Intertemporale), «Prevede di pro-
vocare un incidente nello spazio, seguito immediatamente dalla morte più
o meno orribile di una dozzina di esseri umani.»
«Inevitabile,» dichiarò Voy, scrollando le spalle.
«D'altro canto,» proseguì Harlan, «Io suggerisco di ridurre il M.M.N. al
semplice spostamento di un recipiente da uno scaffale a un altro. Qui!» e
puntò il dito affusolato. L'unghia ben curata del suo indice sfiorò una serie
di fori sul foglio perforato.
Voy esaminò la sequenza con una specie d'intensità dolorosa, ma rimase
in silenzio.
Harlan aggiunse:
«Questo non altera forse la situazione, in relazione al vostro bivio così
trascurato? Non approfitta forse della biforcazione di possibilità minori,
trasformandole in quasi-certezza, e questo non ci conduce forse al...»
«...praticamente, al M.R.O.» bisbigliò Voy.
«Esattamente al Massimo Risultato Ottenibile,» lo corresse Harlan.
Voy sollevò lo sguardo, e il suo volto scuro esprimeva un conflitto di
collera e sgomento. Harlan notò, distrattamente, che c'era uno spazio tra i
grandi incisivi superiori del Sociologo, uno spazio che gli dava un aspetto
da coniglio, che contrastava notevolmente con la forza repressa delle sue
parole.
«Suppongo,» disse Voy, «Che presto riceverò notizie dal Consiglio d'O-
gniquando?»
«Non credo. Per quanto ne so, il Consiglio d'Ogniquando non ne è al
corrente. Almeno, il progetto di Mutamento di Realtà mi è stato inoltrato
senza alcun commento.» Non diede spiegazioni sul significato di «inoltra-
to», né Voy gliene chiese.
«Siete stato voi a scoprire questo errore, dunque?»
«È esatto.»
«E non avete fatto rapporto al Consiglio d'Ogniquando?»
«No.»
Ci fu dapprima un'espressione di sollievo, poi di sospetto.
«Perché no?»
«Poche persone avrebbero potuto evitare questo errore. Ho pensato di
poterlo correggere prima che fosse compiuto il danno. È quanto ho fatto.
Perché andare oltre?»
«Be'... vi ringrazio, Tecnico Harlan. Siete stato un amico. L'errore della
Sezione che, come dite, era praticamente inevitabile, avrebbe fatto un'im-
pressione pessima nel mio curriculum.»
Fece una breve pausa, e proseguì:
«Naturalmente, per ottenere le alterazioni di personalità richieste da que-
sto Mutamento di Realtà, la morte preliminare di pochi uomini è di trascu-
rabile importanza.»
Harlan pensò, con un certo distacco: Il suo tono non esprime una vera
riconoscenza. Anzi, è probabile che sia risentito. Se ci penserà troppo, il
suo risentimento si trasformerà in sorda collera, al pensiero di essere sta-
to salvato da un Tecnico da un errore che avrebbe fatto retrocedere di
molti punti la sua qualifica. Se io fossi un Sociologo, mi stringerebbe la
mano, ma non vuole stringere la mano a un Tecnico. È pronto a lottare
per difendere la sua decisione che condanna dodici persone e più a morire
asfissiate, ma non se la sente di stringere la mano a un Tecnico.
E poiché sapeva che sarebbe stato fatale permettere al risentimento di
Voy di crescere ancora, Harlan disse, senza lasciargli tempo per riflettere:
«Spero che la vostra riconoscenza giungerà al punto di indurre la vostra
Sezione a svolgere un lavoretto per me.»
«Un lavoretto?»
«Sì, un Progetto di Vita. Ho qui i dati necessari, insieme a quelli di un
Mutamento di Realtà consigliato per il 482°. Desidero conoscere gli effetti
del Mutamento sugli schemi di probabilità di un certo individuo.»
«Non credo di capirvi del tutto,» disse lentamente il Sociologo. «Certa-
mente avrete i mezzi per fare questo nella vostra Sezione?»
«Infatti. Ciononostante, la ricerca nella quale sono impegnato attualmen-
te è una faccenda personale, che non desidero sia messa agli atti, per il
momento. Sarebbe difficile svolgerla nella mia Sezione, senza che...» Con
un gesto vago, diede una conclusione incerta alla frase incompiuta.
«Dunque,» disse Voy, «Desiderate che non si svolga attraverso i canali
ufficiali.»
«Desidero che sia fatta in forma confidenziale, e avere una risposta con-
fidenziale.»
«Be', andiamo, si tratta di una procedura irregolare. Non posso accon-
sentire.»
Harlan corrugò la fronte.
«Non mi sembra più irregolare della mia mancata denuncia del vostro
errore al Consiglio d'Ogniquando. A questa irregolarità non avete sollevato
eccezioni. Se dobbiamo seguire i rigidi criteri della norma in un caso, dob-
biamo adottare la medesima politica nell'altro. Mi seguite... spero?»
L'espressione di Voy era la più chiara risposta possibile a quella doman-
da. Il Sociologo tese la mano.
«Posso vedere i documenti?»
Harlan sentì la sua tensione allentarsi, sia pure di poco. La parte peggio-
re era passata. Osservò ansiosamente il Sociologo, chino sui documenti
che gli aveva consegnato.
Voy fece un solo commento, durante la lettura:
«Per il Tempo, ma è un Mutamento di Realtà minimo!»
Harlan prese al volo questa opportunità, e improvvisò:
«Infatti. Per me, è troppo trascurabile. La discussione verte proprio su
questo particolare: il Mutamento è al di sotto della differenza critica, e io
ho scelto un particolare individuo come campione. Naturalmente, non sa-
rebbe diplomatico servirmi dei mezzi della nostra Sezione, prima di avere
ottenuto la certezza di avere ragione.»
Voy non si dimostrò ricettivo a queste spiegazioni, e Harlan si fermò,
comprendendo che era inutile spingersi oltre i limiti della prudenza.
Il Sociologo sollevò il capo.
«Passerò il tutto a uno dei miei Progettisti di Vita. La cosa rimarrà con-
fidenziale. Voi stesso capirete, però, che questo non deve creare un prece-
dente.»
«Naturalmente.»
«E se non vi dispiace, vorrei assistere subito al Mutamento di Realtà.
Sono sicuro che ci farete l'onore di condurre personalmente il M.M.N.»
Harlan annuì.
«Me ne assumo tutte le responsabilità.»
Due degli schermi della sala di visione erano in funzione, quando essi vi
entrarono. Gli ingegneri li avevano già messi a fuoco sulle esatte coordina-
te di Spazio e Tempo, e poi se n'erano andati. Harlan e Voy erano soli, nel-
la stanza scintillante. (L'insieme di pellicole molecolari era in funzione,
non c'erano dubbi, ma Harlan stava guardando gli schermi).
Entrambe le immagini erano immobili. Avrebbero potuto apparire delle
scene morte, poiché rappresentavano degli istanti matematici del Tempo.
Una immagine era in nitidi colori naturali; rappresentava la sala macchi-
ne di quella che Harlan sapeva essere un'astronave sperimentale. Una porta
si stava chiudendo, e nella fessura che rimaneva era appena visibile una
scarpa scintillante di un materiale rosso e semitrasparente. Era immobile.
Tutto era immobile. Se l'immagine fosse stata tanto nitida da mostrare i
granelli di polvere sospesi nell'aria, anch'essi sarebbero apparsi immobili.
Voy disse:
«La sala macchine resterà vuota per due ore e trentasei minuti, dopo l'i-
stante visualizzato. Questo nella Realtà attuale, naturalmente.»
«Lo so,» mormorò Harlan. Stava infilando i guanti, e i suoi occhi stava-
no già fissando nella mente la posizione del recipiente critico nel suo scaf-
fale, misurando i passi necessari per raggiungerlo, valutando la posizione
migliore nella quale trasferirlo. Lanciò una rapida occhiata all'altro scher-
mo.
Se la sala macchine, che si trovava nel campo definito «presente» rispet-
to alla Sezione d'Eternità nella quale essi si trovavano, appariva nitida e
nei colori naturali, l'altra scena, che si trovava a circa venticinque Secoli
nel «futuro», aveva la lucentezza azzurra tipica di tutte le visioni del «futu-
ro».
Era un astroporto. Un cielo di un azzurro profondo, degli edifici azzurri-
ni di nudo metallo su una terra verde-azzurra. Un cilindro azzurro di strana
fattura, dalla base a bulbo, si ergeva in primo piano. Sullo sfondo, erano
ritti altri due cilindri bulbosi. Tutti e tre puntavano verso il cielo delle pun-
摘要:

ISAACASIMOVLAFINEDELL'ETERNITÀ(TheEndOfEternity,1955)capitoloprimo:tecnicoAndrewHarlansalìabordodelcronoscafo,unastrutturaperfettamentesfericainseritainunagabbiaverticalediasteregolarmentedistanziatecheparevanoscintillareinunainvisibilenebbia,acircaduemetridallasuate-sta.Harlanregolòicomandiespostòl...

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